Perché la COP26 si è rifiutata di affrontare l’obsolescenza programmata

Di Joaquin Flores
La brutta verità sul cap and trade e su tutti gli schemi simili è che non riducono davvero le emissioni di carbonio, se la maggior parte degli altri fattori rimangono gli stessi, scrive Joaquin Flores.
Il fallimento della conferenza COP26 delle Nazioni Unite a Glasgow è stato uno spettacolo di ipocrisia che si addice a una classe dirigente moribonda. Questo tipo di buffonate risale al declino e alla caduta dell’Impero Romano, dove la sua classe dirigente decadente era mortalmente lontana dalle cause del crescente decentramento e dell’insoddisfazione nella periferia. E così, andando oltre la nostra analogia storica, potremmo iniziare a sviscerare una catastrofe epocale che l’élite di oggi deve affrontare.
Il passaggio dal sistema imperiale romano, attraverso il periodo carolingio, al sistema dell’Europa medievale, vide un continuo decentramento del potere e l’evoluzione di schiavi e servi in contadini proprietari terrieri.
Questo decentramento economico era collegato a strutture di potere localizzate. I castra romani costituirono quindi la base del sistema medievale dei castelli e la relativa debolezza di questi signori e piccoli re era correlata a un miglioramento dei diritti e del potere economico di quelli che divennero i piccoli contadini proprietari terrieri.
Pertanto un metodo per reintrodurre un elemento di centralizzazione in queste strutture, nel Vaticano a Roma, è stato lo sviluppo della Chiesa e il perfezionamento del suo sistema di decima dall’offerta individuale a una tassa imposta e richiesta dalla legge e approvata collettivamente. Questioni teologiche e metafisiche significative e dissomiglianze a parte, ecco cosa è fondamentale:
Il sistema della tassa sul carbonio è un sistema mistico che non può essere giustificato dalle scienze materiali o dalle preoccupazioni, e invece si pone come un tipo di “nuova religione” che i centri storici del capitale hanno sdoganato per giustificare un tipo di decima su angoli sempre più sovrani e decentralizzati del mondo.
Il pagamento della decima, come il sistema della Carbon Tax, è un progetto ideologico per salvaguardare il potere di un sistema economico moribondo, dopo il declino delle strutture fisiche che tenevano insieme il vecchio impero.
I vari sistemi di carbon tax (cap and trade CAP/ETS, ecc.) sono poco più che un rimaneggiamento di un sistema di decima.
Come per il controllo della Chiesa sugli scribi e sui monasteri, il nuovo culto del carbonio fa affidamento sul suo monopolio sui centri ereditati di creazione e distribuzione della conoscenza, per creare una realtà parallela che richiede un pagamento in qualcosa che non può essere razionalizzato né in termini scientifici né economici.
Allo stesso modo, si potrebbe sostenere che l’influenza degli scopi astratti della Chiesa si sia prestata alla gestione dell’elevata disoccupazione e dell’inflazione causata da questa decima, attraverso l’invocazione di crociate e misure irrazionali per affrontare le pestilenze, le quali tendevano a dare un senso alle morti premature di innumerevoli “inutili consumatori”.
Questo è molto in sintonia con le grossolane soluzioni neo-malthusiane offerte dalle élites dei nostri giorni.
La parte incredibile di questo? L’intera catastrofe odierna può essere evitata se l’obsolescenza pianificata fosse eliminata come pratica economica.
Non importa quale sia la propria posizione sulle questioni climatiche: anche un vero credente sarebbe costretto a vedere la logica nello sradicare l’obsolescenza pianificata se l’obiettivo fosse l’abbattimento del carbonio come indicatore.
La riduzione del carbonio come copertura per un’agenda sinistra di spopolamento
La questione fondamentale che guida il programma di riduzione della popolazione della COP26, ostentata come “riduzione del carbonio”, quindi, è il difficile problema del superamento dell’obsolescenza programmata. Questa singola questione, quasi più di ogni altra, è la prova definitiva che non c’è una reale preoccupazione per l’ambiente e che la classe dirigente è puramente focalizzata sulla riduzione della popolazione, sulla soppressione della stampa 3D come tecnologia effettiva e sull’eradicazione di una vera Quarta Rivoluzione Industriale.
Quest’ultimo aspetto potrebbe sorprendere molti di coloro che stanno seguendo i punti di discussione di Klaus Schwab e compagnia, al World Economic Forum, il quale ha incorporato questi termini nella sua agenda neo-malthusiana.
Usano queste parole in modo che non possano essere comprese, quindi non guarderemo affatto dove nascondono i loro veri significati e implicazioni – nelle loro bocche.
Quindi, sul posto, usano le parole e le frasi – Quarta Rivoluzione Industriale (4IR), Stampa 3D (3DP), Internet of Things (IoT) – ma in realtà stanno cercando di sovvertirle mentre altre tecnologie, di natura del tutto coercitiva e centralizzante, si proiettano sui volti sofferenti delle masse.
Come abbiamo mostrato nel nostro lavoro sull’obsolescenza programmata, da nessuna parte il tema dell’obsolescenza programmata viene affrontato direttamente – né in “Covid-19: The Great Reset” di Schwab (in realtà viene proposto il contrario), né nell’Agenda SDG. C’è un riferimento indiretto ai prodotti riparabili e alla maggiore durata dei prodotti solo a pagina 62 del manifesto di 250 pagine. Questo aggiunge giustificazione alla nostra accusa secondo la quale tra i punti del “Grande Reset” ci sia in programma un’importante riduzione della popolazione umana.
Global Fight-Back – L’ONU e oltre
Le stesse tecnologie per creare le tre rivoluzioni industriali nel nucleo imperiale, furono poi utilizzate dai paesi in via di sviluppo, per far crescere e migliorare la loro economia fisica. Ma questi sforzi furono condotti in feroce opposizione al modello di modernità diretto al centro; un centralismo proveniente dai finanzieri della City di Londra e condotto attraverso la geopolitica del cosiddetto Washington Consensus.
Pur comprendendo accuratamente alcune delle preoccupazioni reciprocamente condivise tra le nazioni, le soluzioni offerte dall’Agenda 2030 derivano dallo stesso tipo di pensiero e dagli stessi attori, che hanno prodotto il problema. Perché qualcuno dovrebbe fidarsi di queste soluzioni?
Ancora una volta, non c’è nulla di profondo o retorico in questa domanda. Coloro che in seno alle dirigenze di molti paesi in via di sviluppo hanno un pensiero lucido comprendono perfettamente questo punto. Sono frustrati dal gaslighting che proviene da queste istituzioni globaliste le quali impongono misure di austerità che alimentano corruzione e povertà, il tutto mentre predicano che questi stessi paesi non hanno fatto abbastanza per aumentare la trasparenza e combattere la povertà.
La vera sovranità per il cosiddetto Sud del Mondo è intimamente legata a due fattori correlati: la sostituzione dell’importazione con un’industrializzazione basata sulla stampa 3D e un’economia fisica basata sulla produzione automatizzata di beni a lunghissima durata. Questo deve capovolgere l’attuale paradigma dell’obsolescenza programmata con il suo PLC (ciclo di vita del prodotto) intenzionalmente ridotto. Un ponte funzionale tra qui e là è una maggiore attenzione al commercio regionale, che incoraggia la cooperazione regionale e allarga le concezioni spaziali di sovranità verso una crescente multipolarità.
Invece di concentrarci su questa soluzione, molto ovvia, a tutta una serie di problemi che sono, generosamente parlando, equamente rappresentati negli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, veniamo trascinati lungo un percorso che si concentra ingiustificatamente sul cambiamento climatico. Ma critici come Vance Packard in “The Waste Makers” (1960) vedevano già il problema e la soluzione.
Siamo quindi in una corsa verso tecnologie produttive di nuova generazione, come la Stampa 3D localizzata (3DP) che alla fine agisce contro la produzione globalizzata, contro l’interdipendenza e i problemi di sicurezza delle linee di approvvigionamento che ne derivano, ad esempio la guerra.
La logica alla base della produzione globalizzata è lo sfruttamento del lavoro a basso salario e il mantenimento delle disuguaglianze globali endemiche. Ma man mano che le tecniche di produzione migliorano e più materiali possono essere sintetizzati, i due fattori trainanti di questo paradigma – produzione a basso salario ed estrazione di materie prime – vengono superati entrambi allo stesso tempo.
La fine dell’obsolescenza programmata e la fine del cambiamento climatico rappresentano due paradigmi diversi. Il primo è collegato a un paradigma lungimirante che riflette una Quarta Rivoluzione Industriale reale e sostenibile, e il secondo è un cinico stratagemma non solo per limitare lo sviluppo razionale dell’economia fisica, ma anche degli orizzonti umani.
La sintesi dei materiali elimina le “emissioni di carbonio” prodotte dall’intero attuale modello di estrazione delle risorse, comprese quelle emesse da centinaia di milioni di lavoratori che generano emissioni altrimenti non necessarie a monte e a valle, linee di approvvigionamento globalizzate, mentre l’impronta di carbonio per la sintesi dei materiali alla fine sarà minore. E questo conta molto solo se un vero problema sono le emissioni di carbonio, che è discutibile nella migliore delle ipotesi.
In altre parole, possiamo eliminare quelle emissioni senza eliminare gli esseri umani e, inoltre, senza limitare la qualità della vita di cui godono. Al contrario, il superamento della scarsità artificiale nella sua forma attuale vedrebbe un grande miglioramento della qualità della vita e dell’aspettativa di vita.
E quindi l’attenzione sul miglioramento dei metodi iper-efficienti di distribuzione globalizzata non ha senso, se investimenti relativamente equivalenti in ricerca e sviluppo (R&S) possono ottenere risultati migliori nell’arena della sintesi dei materiali. I materiali sintetici sono basati su polimeri che sono più resistenti e duraturi rispetto ai materiali naturali o rigenerati e si prestano a prodotti più duraturi.
Cosa c’è di più efficiente di un sistema di consegna più efficiente? Non doverlo distribuire affatto.
Le nazioni non sono vincolate all’Agenda 2030 dalla forza del trattato
La maggior parte degli Stati membri delle Nazioni Unite sono davvero accondiscendenti alla narrativa del cambiamento climatico? La stragrande maggioranza dei paesi legati al sistema di neo-colonialismo del FMI/ONU sta semplicemente aspettando il suo tempo, mentre alternative come i BRICS sono in crescita rispetto al petrodollaro.
Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite, noti anche come Agenda 2030, utilizzano il linguaggio del post-colonialismo per rafforzare un nuovo tipo di neo-colonialismo. Il sistema alla base di questa spinta, la cosiddetta “sostenibilità”, è ciò che è in realtà insostenibile, e quindi i paesi in via di sviluppo comprendono che devono semplicemente sopportarla fino a quando non implode definitivamente.
Molte preoccupazioni ambientali non correlate sono state ridotte al “cambiamento climatico”. E il cambiamento climatico è stato dogmaticamente legato alle emissioni di carbonio. Il tema principale infatti riguarda le emissioni di carbonio, anche se si tratta solo di un unico obiettivo (obiettivo 13) tra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030.
Vedendo il grafico delle Nazioni Unite di seguito, possiamo vedere che i seguenti obiettivi sono in realtà tutte questioni importanti: 6 (Acqua pulita e servizi igienici); 7 (Energia economica e pulita); 9 (Industria, innovazione e infrastrutture); 11 (Città e comunità sostenibili); 12 (Consumo e produzione responsabili); 14 (Vita sott’acqua); 15 (Vita sulla terra).

Ed è quindi di particolare interesse che il 13, l’azione per il clima (basato semplicemente sulle emissioni di carbonio), sia la guida logica di tutti gli altri, quando in realtà è il mancato raggiungimento dell’obiettivo 12 (Consumo e produzione responsabili) a rappresentare l’intero cancro sociale e ambientale di questa epoca, un pericolo così chiaro e presente eppure così profondamente radicato in questo paradigma, che il FMI non può proporre una soluzione che possa affrontarlo.
L’obiettivo 12 – consumo e produzione responsabili – è alla base di tutti gli altri obiettivi, se vogliamo prenderli sul serio. Non l’obiettivo 13 – l’azione per il clima – poiché di fatto va nella direzione opposta. Questo punto sarà sottolineato.
Tutto questo sembra così terribile, quindi perché la maggior parte degli Stati membri delle Nazioni Unite ha firmato? Infatti, Agenda 2030 non è un trattato, non è vincolante e non è un criterio per l’adesione all’ONU, e le sue disposizioni non sono applicabili attraverso il meccanismo dei trattati tra Stati sovrani. Piuttosto, è stato raggiunto “per consenso”, qualunque cosa ciò significhi. Ciò che è stato costruito come Agenda 2030 presenta nel migliore dei casi uno schema, utilizzando il contributo di molti Stati membri delle Nazioni Unite, di ciò su cui “potrebbero” concordare un giorno.
Pertanto, molti paesi faranno i propri annunci sovrani sul raggiungimento di questa o quella parte, dei vari obiettivi. Questo riceverà molta risonanza mediatica, in gran parte fuorviante, perché queste sono state decisioni che questi paesi hanno preso da soli. Molti di questi si sovrappongono già alla propria agenda nazionale (riduzione della povertà, acqua pulita, inclusività di genere). Ma lo fanno di propria iniziativa, e questo punto è fondamentale.
Le multinazionali predatorie amano utilizzare le disposizioni sul 2030 per fare, dello spettro della governance globale e degli obiettivi condivisi, una giustificazione delle politiche che minano le basi economiche e la sovranità dei paesi in via di sviluppo.
Ma i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 (SDG) rappresentano semplicemente un “piano d’azione”, a cui i paesi non sono obbligati ad attenersi rispetto ai vari accordi e trattati che potrebbero concordare attualmente o in seguito, o che le multinazionali potrebbero tentare di imporre unilateralmente come condizione di scambio (spesso sostenute dal FMI, ma con i propri nomi e dettagli legali).
Molte delle preoccupazioni che questi obiettivi affrontano, sono quelle opportune per i paesi su cui concentrarsi, e qui sta il problema. Proprio come avviene con la Quarta Rivoluzione Industriale, l’Agenda 2030 si rovescia su questi popoli e li indirizza cinicamente verso un genocidio neo-malthusiano.
La brutta verità sul cap and trade, e tutti gli schemi simili per applicarlo a livello globale, è che non riducono davvero le emissioni di carbonio, se la maggior parte degli altri fattori rimangono gli stessi. Tra gli altri fattori richiesti per questo schema per avvicinarsi all’obiettivo, c’è la riduzione della dimensione della popolazione. Si noti che questo non va nella direzione di ridurre il tasso di crescita della popolazione, ma quella di ridurre la popolazione umana totale in termini assoluti.
In altre parole, al centro dei 17 Sustainable Development Goals per il 2030, la principale causa di carbon footprint sono gli esseri umani.
Superare il problema di questo paradigma
Proprio come con gli indici di sviluppo umano e le preoccupazioni economiche più ampie, l’Agenda 2030 coglie le legittime preoccupazioni per l’ambiente, l’esposizione umana a materiali cancerogeni, deformazioni alla nascita, aria e acqua pulite.
Ma questi vengono riassunti sotto il titolo di riscaldamento globale (o, per sottolineare i tempi necessari al raffreddamento, “cambiamento climatico”), in un modo così incoerente che non si può parlare delle legittime preoccupazioni senza essere costretti a rispondere del cambiamento climatico.
Le innovazioni che potenziano una Quarta Rivoluzione Industriale, come la Stampa 3D (3DP), contengono molto potenziale. Ma esistono già soluzioni al ciclo produzione/reddito e distribuzione/acquisto che affliggono l’umanità di fronte al rapido processo di automazione in atto.
Queste soluzioni sono semplici come ad esempio l’utilizzo di parti di qualità superiore per sostituire le parti con “previsto decadimento” in prodotti già esistenti, lasciando inalterati tutti gli altri fattori di produzione.
In effetti, riteniamo che mentre ci sono ipoteticamente limiti alla crescita, il limite più grande al momento è circoscritto al pensare come appare la crescita e quali nuove possibilità e scoperte riserva.
Nel complesso, possiamo vedere che il superamento dello spreco delle economie di scala non è il problema a cui mira la concezione dell’Agenda 2030 dell’élite. Vogliono preservare un qualche tipo di sistema di produzione sovvenzionata di merci, forse rendendo i prodotti meno robusti e comunemente condivisi attraverso un sistema di consegna automatizzata (un esempio è il modello di un drone-delivery rental sytem N.d.T.).
Ciò ridurrebbe la durata della vita del prodotto richiedendo anche una inferiore produzione di beni, in sinergia al sistema di noleggio e una popolazione umana totale altrettanto minore.
In un tenace equilibrio tra riduzione della popolazione e fragili beni, il WEF sostiene che ciò si tradurrà in una diminuzione netta delle emissioni di carbonio. Osservando la seconda parte di tale bilancio, possiamo concludere che la riduzione della popolazione deve essere significativa per giustificare la richiesta di riduzione netta.
Noi sosteniamo invece che “due teste sono meglio di una”, che l’aumento della popolazione umana ha un effetto multivariato e non lineare verso il miglioramento non solo dell’esperienza umana, ma della sua interrelazione positiva con l’intera noosfera.
Fonte: strategic-culture.org
Traduzione: Alessandro Napoli
Categorie
Ecologia, Economia, Geopolitica, Quarta Rivoluzione Industriale, Società