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La rivoluzione culturale dei ricchi

La Libertà che guida il popolo (Eugène Delacroix, 1830)

Di José Javier Esparza

“La rivoluzione culturale nichilista che caratterizza il nostro tempo non è una sovversione contro il potere costituito, ma il contrario, uno strumento al suo servizio, un’arma nelle mani di chi governa”.

Stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione. Più o meno discreta, più o meno domestica, senza barricate né palazzi d’inverno, senza la Libertà a torso nudo che guida il popolo come nella pittura di Delacroix, ma pur sempre rivoluzione. Rivoluzione politica per decomposizione delle sovranità nazionali, rivoluzione economica per trasformazione del capitalismo, rivoluzione culturale per alterazione assoluta dei valori sociali. In passato, le rivoluzioni erano guidate dal popolo, o almeno così volevamo credere. Non oggi. La rivoluzione di oggi non è compiuta dal popolo, ma dalle élites, cioè da coloro che governano. Sono loro che sponsorizzano il grande movimento di distruzione delle identità storiche, di annientamento dei ruoli tradizionali di uomini e donne, di ricomposizione delle divisioni sociali (sostituzione di vecchie divisioni con nuove), inclusa la riassegnazione della funzione sessuale. Tutto questo nello stesso momento in cui l’ordine economico si trasforma completamente in un movimento che, anche in questo caso, non guarda affatto al bene comune, ma alla sopravvivenza del sistema stesso. E quello che bisogna capire è questo: la rivoluzione culturale nichilista che caratterizza il nostro tempo non è un sovvertimento contro il potere costituito, ma, al contrario, uno strumento al suo servizio, un’arma nelle mani di chi governa.

Mezzo secolo fa, il sociologo nordamericano Daniel Bell, allora molto rinomato, compilò alcuni suoi studi in un libro intitolato “Le contraddizioni culturali del capitalismo” (1976) e la cui tesi centrale fu, in estrema sintesi, questa: il capitalismo si è costituito sui valori di fatica, lavoro, sacrificio, abnegazione e austerità, ma il tipo di società che il capitalismo stesso genera spinge le persone a comportarsi secondo controvalori, ovvero edonismo, consumismo, spese di lusso, ecc. In breve, il capitalismo del dopoguerra ha trionfato grazie a un certo ammontare di valori che presto sarebbero stati minati dal trionfo del capitalismo stesso. È un percorso che tutti i baby boomer abbiamo conosciuto bene: il passaggio dallo spirito di risparmio alla propensione a spendere, dalla società del lavoro alla società dei consumi, dalla cultura del sacrificio alla cultura del godimento. Si potrebbe quindi dedurre che i giorni del mondo capitalista fossero contati, poiché i nuovi valori erano incompatibili con il capitalismo tradizionale. I nostri genitori, cresciuti nell’austerità, hanno costruito un mondo che i nostri figli, cresciuti nell’abbondanza, non sarebbero stati in grado di sostenere. Ora, ciò che abbiamo sperimentato negli ultimi decenni è che il capitalismo ha prodotto la propria cultura e si è trasformato al ritmo di questi cambiamenti.

Il capitalismo del consumo accelerato di prodotti ha modellato una mentalità sociale di godimento individualistico, e questo individualismo edonistico, dal canto suo, si è rivelato un ottimo stimolo per la messa in circolazione di sempre più prodotti che vengono rapidamente consumati e sostituiti da altri. Per così dire, il capitalismo ha risolto le sue contraddizioni culturali creando la propria cultura.

Tutte quelle cose che oggi vediamo intorno a noi e che ci sembrano – appunto – segni di disordine non sono, in fondo, altro che il volto del nuovo ordine. Il capitalismo del XXI secolo, finanziario e globalizzato, può svilupparsi pienamente solo dopo l’eliminazione delle barriere tradizionali: piccola proprietà, sovranità nazionali, reti comunitarie di solidarietà, strutture familiari, religioni e, infine, tutte quelle cose che oggi il discorso dominante condanna come “reazionarie”. Ecco perché il potere perseguita incessantemente i recalcitranti. E ancora li perseguiterà.

Stando così le cose, è esilarante contemplare le piroette della sinistra occidentale con il distintivo dell’Agenda 2030 sul bavero. Quella sinistra non è altro che la massa manovratrice del capitalismo globale. Forse alcuni dei suoi guru credono che un giorno potranno sfruttare lo slancio a proprio vantaggio, secondo il vecchio principio leninista del “impiccheremo i borghesi con la corda che loro stessi ci hanno venduto”, ma ciò è sbagliato: il potere rivoluzionario del nuovo capitalismo è molto più grande, molto più distruttivo, molto più nichilista di quelle ideologie “progressiste” che lo accompagnano. I veri rivoluzionari, coloro che stanno costruendo una nuova umanità (e dai toni atroci), non sono gli ideologi, ma i finanzieri, che prima o poi divoreranno anche i loro sciocchi tribuni.

Cosa stiamo aspettando per iniziare la controrivoluzione?

Fonte: Posmodernia

Traduzione: Alessandro Napoli

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