Oltre i diritti umani di Alain de Benoist: una critica del diritto contaminato dalla morale

Di Augustin Thomas
In un editoriale sulla rivista Éléments, Alain de Benoist ha spiegato che la nostra epoca sta vivendo il passaggio dalla vecchia morale a un moralismo onnipresente. Di fronte a questo imperialismo, ha fatto appello ai “libertini” [1]. Il suo ultimo saggio, pubblicato da Pierre-Guillaume de Roux (ristampa ampiamente ampliata di un’opera omonima pubblicata da Krisis nel 2004), offre sia un appello politico a difendere le libertà sia uno smantellamento chirurgico del dogma che tiene a freno: “I Diritti dellUomo”.
Se i diritti umani inizialmente hanno fornito una cassetta degli attrezzi fondamentale contro i regimi assolutisti, sono poi stati pronti, a livello internazionale e con pretesti umanitari, a legittimare le operazioni imperiali e talvolta militari (interferenza umanitaria, Kosovo, Libia, Siria, ecc.); e a livello nazionale, a tenere discorsi compassionevoli su importanti questioni politiche, assicurare le relazioni sociali alla giustizia e fornire, in nome della lotta alla discriminazione, una base per le rivendicazioni della società (parità di accesso al pubblico impiego, antirazzismo, ius soli, matrimonio per tutti, ecc.).
Alain de Benoist spiega la rinascita dell’ideologia dei diritti umani con l’ascesa del neoliberismo. Niente potrebbe essere più facile per i diritti umani di imporsi come consenso in una postmodernità che permette di sradicare valori e parametri comuni, consentendo il sorgere di una massiccia individualizzazione, antropologicamente derivante dal liberalismo. L’era è disorientata, allo sbando; i diritti umani si impongono come bussola unica, come minima moralia.
La società dei diritti va di pari passo con la società di mercato. E sarebbe meglio che fosse ben custodito, il mercato! Pertanto, anche se si vantano della tolleranza, i diritti umani difficilmente tollerano le critiche alla loro egemonia. «Le dichiarazioni dei diritti non sono tanto dichiarazioni d’amore quanto dichiarazioni di guerra», scrive Alain de Benoist. Già Karl Marx vi vedeva uno strumento per il dominio della società borghese, una modalità di sfruttamento capitalista.
Inoltre, i diritti umani servono a dare una coscienza pulita a un Occidente che crede di combattere contro i barbari (è così che designiamo le persone irrequiete e riluttanti a seguire il modello dei diritti umani e del mercato). Non potrebbe essere più chiaro: i diritti umani sono oggi uno strumento di dominio, “il quadro ideologico della globalizzazione”.
Universalità, principio universale?
L’ideologia dei diritti umani combina due errori della modernità: l’universalismo (l’essere si deduce dal dovere di essere) e il soggettivismo (il mio punto di vista prevale per il solo fatto che è mio). Da quale matrice ideologica derivano questi due errori? Secondo l’autore, è il cristianesimo che avvierebbe una rottura con il pensiero greco proclamando che l’uomo ha un valore in sé stesso. Passaggio dall’ancoraggio ontologico al dualismo della metafisica. L’idea biblica di giustizia non indica più cosa è bene essere ma cosa è giusto fare. Anche l’idea di dignità umana e la sua portata egualitaria astratta – pur sviluppandosi in senso moderno con Cartesio e Kant – deriverebbe dalla tradizione giudaico-cristiana.
Alain de Benoist indica in particolare l’emergere decisivo del nominalismo, sotto l’influenza di Guillaume d’Occam, e la nascita del diritto soggettivo: non c’è nulla di ontologicamente reale al di là degli esseri singolari, secondo Occam, quindi ci sono solo esseri individuali nella universo. Attraverso l’occamismo, poi attraverso la scolastica spagnola (in particolare Francesco Suarez), si passa dal diritto naturale classico al diritto naturale moderno. L’uomo non è più un essere politico e sociale. Lo stato liberale ora limita la vita sociale tra contratto legale e scambio commerciale.
Peggio ancora: più cerchiamo le basi per i diritti umani per comprenderne la portata, più il terreno concettuale ci scivola via da sotto i piedi. La ragione umana, la dignità umana, l’appartenenza all’umanità, niente di tutto ciò pone premesse serie. «In queste condizioni – conclude Alain de Benoist – la difesa dei diritti umani deve limitarsi a un atteggiamento incantatorio, che speriamo di rendere performativo: a forza di affermare l’esistenza dei diritti, essi alla fine esisteranno». In altre parole, i diritti umani sono leggi contaminate dalla morale.
Oltre l’etnocentrismo e il relativismo
Per sgonfiare l’imperialismo dei diritti umani, Alain de Benoist attacca il concetto chiave che ne sta alla base: l’universalità. Se i diritti dell’uomo formano una teoria valida in ogni luogo e in ogni tempo, che scaturisce da una ragione comune a tutti gli uomini, come spiegare che essa si impone con la forza, a volte con le armi? L’autore ricorda che essi sono nati con il pensiero dell’Illuminismo. Incompatibili con l’osservazione della diversità delle culture e la preoccupazione di mantenere questa diversità, sarebbero addirittura “una continuazione della sindrome coloniale”.
È infatti difficile considerare sia che la diversità delle culture sia una ricchezza da salvaguardare, sia che dette culture si muovano insieme verso l’ostacolo che è la cultura occidentale e la sua così invidiabile economia di mercato… Ci stiamo ricollegando qui con l’etnocentrismo da cui l’Occidente aveva pensato di allontanarsi con la decolonizzazione. Impossibile anche conciliare etnocentrismo e pluralismo, perché la diversità culturale implica al contrario un pieno riconoscimento dell’Altro. Ma «come riconoscere l’Altro se i suoi valori e le sue pratiche si oppongono a quelli che vogliamo inculcargli», proprio in nome dei diritti umani?
I diritti umani affermano di essere astorici, eppure rimangono una creazione occidentale moderna. Il rimedio a questo etnocentrismo potrebbe essere un relativismo che attribuirebbe uguale valore a tutte le culture? Al modo in cui consideriamo che “ognuno ha la sua verità”? I fautori del multiculturalismo sono, tuttavia, i primi a considerare tale pratica culturale come un attacco alla dignità della persona e ai diritti umani. E questo equivarrebbe ad accettare qualsiasi pratica culturale o religiosa solo perché esiste.
Ecco il dilemma: l’Occidente non è un’autorità che sovrasta le altre culture, e per quanto le culture non siano tutte uguali. Al di là dell’etnocentrismo e del relativismo, Alain de Benoist auspica una posizione pluralista. Contro la cancellazione delle identità, la diversità delle culture. L’uomo non appartiene immediatamente all’umanità, come accanto a un’astrazione, ma mediamente, attraverso una cultura, un linguaggio, una tradizione. Ricordando il buon senso di Joseph de Maistre secondo il quale, contrariamente a quanto afferma la Costituzione del 1795, non ci sono uomini al mondo, ma francesi, italiani, russi, persiani [2], Alain de Benoist cita Myriam Revault d’Allonnes: l’umanità è una “disposizione ad abitare e condividere il mondo” [3].
Elogio del principio di appartenenza
I diritti umani – con il pretesto di garantire la libertà e l’autonomia degli individui e di proteggerli dal dominio – sono infatti un nuovo strumento di dominio. Un imperialismo aggressivo che si adorna della maschera della bontà, della moralità, del diritto. Tuttavia, nella società consumistica postmoderna in cui gli individui fuori terra sono mossi dai loro soli desideri, illimitati per definizione, la difesa dei propri diritti equivale a cercare la massimizzazione razionale dei propri interessi. Questo vale per gli individui così come per gli Stati. I diritti umani sono intrinsecamente antipolitici, poiché oppongono costantemente l’individuo e i suoi diritti illimitati a qualsiasi autorità che superi l’individuo e gli imponga dei doveri, a loro volta limitati. Superba asimmetria.
Da qui la straordinaria ascesa al potere dell’arsenale legale, sia nazionale che internazionale. Qualsiasi questione politica prima o poi si risolve in una questione giudiziaria, come diceva Alexis de Tocqueville. “Si delinea allora un oceano procedurale in cui avvocati e giuristi sono incaricati di regolare, con ineguale successo, la nuova lotta di tutti contro tutti”, scrive Alain de Benoist.
Esiste, inoltre, un’ambiguità nei termini della “dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”: i diritti umani rientrano nel diritto naturale; quelli del cittadino, nel diritto positivo. La prima riguarda l’uomo come entità autonoma separata da ogni società; la seconda, del cittadino che è, per definizione, membro di una comunità. I diritti del cittadino garantiscono la democrazia, cioè la sovranità e il consenso del popolo. I diritti umani, dotati della certezza morale di possedere la verità universale, possono, se necessario, opporsi a questa democrazia, come dimostrano i recenti esempi di Libia e Siria.
«Un individuo è un nodo isolato, scrive Raimon Pannikar; una persona è l’intero tessuto che sta attorno a questo nodo, un frammento del tessuto totale che costituisce il reale. […] È innegabile che, senza i nodi, il tessuto si scioglierebbe; ma senza il tessuto i nodi non esisterebbero nemmeno. [4]» Al di là dell’individualismo e del collettivismo, Alain de Benoist chiede la difesa di un modello olistico: il tutto non può essere ridotto alla somma delle sue parti né le parti a questo tutto.
Criticare i diritti umani non equivale a legittimare il dispotismo, anzi. Una società in cui le libertà fondamentali siano rispettate è politicamente migliore e moralmente preferibile di una società dispotica e assolutista. Ma senza il principio di appartenenza a una comunità politica, le idee di uguaglianza, libertà e giustizia sono solo miraggi. Abbandoniamo questa presunta irriducibile opposizione tra libertà individuale e vita sociale. Alain de Benoist prende l’esempio dell’istruzione pubblica che non è in alcun modo il risultato di alcun “diritto all’istruzione”, altrimenti sarebbe gratuita ma facoltativa. Ciò che la rende obbligatoria è il riconoscimento che l’educazione costituisce un bene sociale.
È quindi una necessità politica. È in questo senso che chiamiamo in causa i libertini!
Note:
[1] Alain de Benoist, “L’ordre moral”, Éléments n° 130, 209
[2] Joseph de Maistre, Considerazioni sulla Francia, 1796
[3] Myriam Revault d’Allonnes, Umanità fragile, Aubier, 2002, pag. 37
[4] Raimon Pannikar, “La nozione di diritti umani è un concetto occidentale?”, in Diogène, Parigi, ottobre-dicembre 1982, pag. 100
Traduzione di Alessandro Napoli
Fonte: philitt.fr