NOOMACHIA: Principi per comprendere la civiltà cinese

Di Aleksandr Dugin
Capitolo 1 di Noomakhia – The Yellow Dragon: The Civilizations of the Far East (Mosca: Academic Project, 2018)
La Cina è riconosciuta come una civiltà indipendente e unica praticamente da tutti, e quindi non c’è bisogno di dimostrarlo. Piuttosto, ci troviamo di fronte al tentativo di rivelare la struttura del Logos di questa civiltà e di determinarne il più possibile la mappa geosofica sia all’interno dei confini della Cina che oltre, così come nel suo dialogo con le civiltà vicine.
La cultura cinese ha esercitato un’influenza enorme e a tratti decisiva sui popoli vicini, in primis su Corea, Vietnam e Giappone, che in certe epoche si ritenevano tutti parte della Grande Cina, non nel senso di unità politica, ma come parti indelebili e organiche della civiltà cinese e dell’orizzonte cinese. Questo orizzonte ha avuto un impatto sostanziale anche sui popoli del Tibet e sui nomadi di Turan che confinano con la Cina da nord. Inoltre, possiamo incontrare precise influenze dell’elemento cinese tra i popoli dell’Indocina e del sud-est asiatico, come in Cambogia, Laos, Myanmar, Thailandia, Malesia, nonché, anche se in misura minore, Indonesia e Filippine.
D’altra parte, la stessa Cina ha in alcuni casi ritradotto tendenze e influenze originarie di altre civiltà. La Cina è stata fortemente influenzata dai popoli di Turan, che spesso sono venuti a formare il nucleo delle élite dominanti (come tra gli Xianbei, i Mongoli, i Manciuriani, ecc.) [1].Nei periodi più antichi della storia cinese, il fattore indoeuropeo era significativo, poiché gli indoeuropei rimasero la forza principale della steppa eurasiatica fino ai primi secoli d.C.[2] È dagli indoeuropei che gli antichi cinesi hanno preso in prestito il cavallo, il carro e una serie di forme culturali, soprattutto l’arte della guerra, che gli indoeuropei di Turan avevano sviluppato con priorità.
Anche indoeuropeo nella semantica e nelle origini fu il buddismo, che si diffuse in Cina dal I al III secolo d.C. e arrivò a costituire una componente importante della tradizione cinese. Il buddismo si diffuse in Cina direttamente dall’India [3], così come dall’Asia centrale e dal bacino del Tarim, che erano abitati da popoli indoeuropei. Un certo ruolo in questo processo è stato svolto dal Tibet che, da un lato, ha subito l’influenza cinese mentre, dall’altro, ha rappresentato una civiltà in cui il vettore indoeuropeo è stato determinante [4].
Nello studio della Cina, possiamo applicare le nostre metodologie tradizionalmente impiegate di analisi della civiltà che ci hanno aiutato a raggiungere il livello di generalizzazioni ultime che abbiamo nella topografia della noologia [5]. Se riusciamo ad accennare alle priorità nella struttura noologica della civiltà cinese, se possiamo avvicinarci alla rivelazione delle principali caratteristiche (esistenziali) del Dasein cinese, e se riusciamo a svelare proprio quale Logos o Logoi dei tre principali sia dominante in Cina, allora considereremo il nostro compito adempiuto.
Il significato delle opere di Marcel Granet: “Noi cinesi”
Nello svelare le complessità della cultura cinese profondamente originale, impareggiabile e unica, saremo guidati dalle opere di un autore che, dal nostro punto di vista, pur essendo europeo, ha tuttavia approfondito al massimo le strutture di questa cultura e fornito un descrizione attendibile di esso. Abbiamo in mente il sociologo francese Marcel Granet (1884-1940), che dedicò tutta la sua vita accademica allo studio della Cina. Granet ha costruito la sua metodologia lungo i seguenti principi:
- Gli autori dell’Europa occidentale che studiano la Cina hanno tutti, senza eccezioni, proceduto nelle loro interpretazioni dalle posizioni e dai paradigmi eurocentrici della Modernità, reinterpretando relazioni sociali, idee politiche, termini filosofici, pratiche religiose, e così via nella loro chiave, e costruendo così un’artificiale storia cinese vista sia dalla posizione di osservatore distaccato che tuttavia rivendica universalismo e verità in ultima istanza, sia da atteggiamenti coloniali diretti (anche se inconsci). Pertanto, qualsiasi interpretazione europea rimarrà certamente all’interno del trattamento paradigmatico della Cina come “società di barbari”, quella categoria in cui cadono automaticamente tutte le civiltà sviluppate (“non selvagge”) che differiscono qualitativamente nelle loro strutture dalle società europee della Modernità. Così,
- Gli stessi storici cinesi, riflettendo sull’essenza e sulle strutture delle loro civiltà, hanno eretto uno storico fondato sull’una o sull’altra preferenza dinastica, filosofica, ideologica o a volte religiosa, che presenta anche così una versione unilaterale e ideologizzata che non può essere assunta come verità ultima, e che deve essere costantemente verificata e corretta.
- Ci resta di perseguire una terza via, quella dell’immersione nella civiltà cinese, nella sua lingua, storia, filosofia, costumi, riti, arte, politica e società nel suo insieme, tentando di identificare i suoi modelli immanentemente intrinseci sulla base di metodologie antropologiche, e cercando di aderire il più possibile al modo in cui i cinesi si comprendono senza perdere di vista la distanza necessaria per correggere l’autocoscienza sociale (la coscienza collettiva alla Durkheim) rispetto al processo generale dei suoi cambiamenti storici e dinastici, e versioni alternative religiose e geografiche.
Il metodo di Marcel Granet applicato alla Cina è per molti aspetti simile a quello di Henry Corbin (1903-1978) nel suo studio approfondito della civiltà iraniana e irano-islamica, una metodologia che lo stesso Corbin definì la “fenomenologia della religione” [6]. E’ impossibile descrivere correttamente l’autocoscienza di una società se si ritiene deliberatamente che tutto ciò in cui essi stessi credono sia “pregiudizio ignorante” o “vuote chimere”. Eppure la Cina può essere compresa solo prendendo la posizione dei cinesi, accettando di fidarsi consapevolmente di come vedono il mondo e di quale mondo costituiscono con il loro punto di vista. Proprio come ha detto Corbin nel suo studio sullo sciismo iraniano “Noi, sciiti”, Marcel Granet potrebbe ben dire di se stesso “Noi, cinesi” senza alcuna intenzione di alterare irreversibilmente la sua identità da europeo a cinese.
Nel suo approccio, Marcel Granet ha combinato la sociologia olistica della scuola di Durkheim e le metodologie della “scuola degli annali”, che ha portato alla concettualizzazione della società nel suo insieme fenomeno e al trattamento dei cambiamenti nella struttura della società nel corso di lunghi periodi storici non come periodi diversi, rigorosamente discontinui, con i quali normalmente operano le cronache storiche convenzionali, ma come processi di mutazioni continue e graduali. I fondamenti di questa metodologia sono stati sostanziati in dettaglio da Fernand Braudel con il suo famoso concetto di “lunga durata” [7]. Granet ha dedicato alla Cina una serie di opere fondamentali, vale a dire: Fêtes et chansons anciennes de la Chine, La Religion des Chinois, Danses et légendes de la Chine ancienne, Études sociologiques sur la Chine e le sue due opere generalizzatrici e più importanti La Civilisation chinoise e La Pensée chinois [8-13].
Georges-Albert de Pourvourville e i tradizionalisti
Oltre a Granet, un contributo sostanziale alla comprensione della civiltà cinese è stato fornito da Georges-Albert Puyou de Pourvourville (1862-1939), che scrisse sotto il nome di Matgioi e studiò la civiltà cinese dall’interno, trascorrendo molti anni in Cina. Pourvourville-Matgioi fu iniziato alla tradizione taoista da un insegnante cinese e trasmise le sue conoscenze acquisite nelle sue opere sulla metafisica cinese, La via razionale e La via metafisica, nei suoi libri L’impero di mezzo e La Cina dei dotti e nelle sue traduzioni del Tao Te Ching di Lao Tzu e dello Spirito della Razza Gialla di Quangdzu [14-19]. Un altro eccezionale tradizionalista, Julius Evola (1898-1974), tradusse successivamente il Tao Te Ching in italiano [20].
Pourvourville ha formulato il suo obiettivo con le seguenti parole:
«Cercherò di rivelare al ventesimo secolo occidentale questo tesoro, nascosto per cinquemila anni e sconosciuto anche ad alcuni dei suoi custodi. Ma prima desidero stabilire i tratti principali di questa tradizione, in virtù della quale essa è la prima e, come segue, la vera Tradizione, e determinare principalmente, attraverso le testimonianze tangibili accessibili all’uomo che gli autori di questa tradizione hanno lasciato noi, come le reliquie di questa tradizione risalgono all’epoca in cui nelle foreste che ricoprono l’Europa e persino l’Asia occidentale lupi e orsi non erano quasi diversi dalle persone che, vestite con loro pelli, divoravano carne grossolana» [21].
Matgioi ha quindi sottolineato di ritenere che la tradizione cinese fosse la più antica e primordiale (similmente a come altri tradizionalisti, come Guénon e Coomaraswamy, vedevano la tradizione primordiale nell’induismo). Allo stesso tempo, Pourvourville-Matgioi non ha semplicemente cercato di dimostrare che la tradizione cinese è paragonabile a quella europea ma, come si può vedere nel passaggio precedente, era convinto che in tutta la sua completezza, profondità e antichità, essa era superiore alla cultura europea nel suo insieme, per non parlare della cultura europea della modernità, che i tradizionalisti considerano univocamente degenerata e in declino.
Pourvourville era vicino a René Guénon (1886-1951), il fondatore del tradizionalismo europeo, e fu una delle principali fonti di conoscenza della tradizione cinese da parte di Guenon. Lo stesso Guénon dedicò un’opera fondamentale, La grande triade, alla metafisica cinese, e in essa si affidò largamente alle idee di Matgioi [22]. Le opere di Matgioi e Guénon sono importanti in quanto si avvicinano alla metafisica cinese dall’interno, accettando il punto di vista religioso della tradizione taoista nella misura in cui tale è accessibile alle persone di cultura europea. Ulteriori importanti resoconti della tradizione spirituale cinese sono contenuti nelle opere dello storico delle religioni e autore vicino al tradizionalismo, Mircea Eliade (1907-1986), in particolare nella sua opera Alchimia asiatica, una parte considerevole della quale è dedicata alla tradizione cinese [23].
L’orizzonte degli Han: Il popolo della Via Lattea
Come per qualsiasi popolo, nell’esaminare i cinesi è difficile stabilire in maniera definitiva quale strato di identità, che è necessariamente multistrato e dialetticamente mutante nelle sue proporzioni nel tempo, debba essere preso come nostro punto di riferimento. Si tratta senza dubbio di una civiltà, e questo significa di un Logos formalizzato e riflessivo incarnato nella filosofia, nella tradizione, nella cultura, nella politica e nell’arte. Nell’antichità, la civiltà cinese raggiunse la piena divulgazione, vale a dire lo stadio di Ausdruck nella terminologia di Leo Frobenius. Possiamo studiare questo Logos, analizzarlo e commentarlo studiando e sistemando i suoi elementi e strati. Di per sé, questo è già un compito estremamente complesso, poiché la civiltà cinese ha attraversato molteplici fasi principali che hanno comportato cambiamenti semantici qualitativi e, come segue, sostanziali adattamenti sono stati radicati nel paradigma fondamentale del Logos cinese.
Come abbiamo mostrato nel volume di Noomakhia dedicato alla Geosofia, il Logos della Civiltà rappresenta lo strato più alto della formazione della civiltà, dalla “semina” dei principali Logoi verticali (di Apollo, Dioniso e Cibele) ai suoi raccolti sotto forma di cultura. Il Logos è la fase finale in cui i frutti della cultura vengono raccolti durante la fase finale del ciclo agrario. Alla base della civiltà c’è un orizzonte culturale o esistenziale, o Dasein (in questo caso il Dasein cinese). Quest’ultimo precede la formazione della civiltà, ma ne è al tempo stesso il fondamento semantico. Il Dasein, come popolo esistenzialmente inteso, come popolo esistente (il cui esistere presuppone la storia, cioè il tempo) presuppone anche strutture logologiche su cui si fonda [24-25]. Pertanto,

Eppure, per esaminare e interpretare correttamente lo storico cinese, cioè le forme dell’essere storico di questo popolo, è necessario discernere l’orizzonte principale che funga da asse semantico preso come punto di riferimento. Ciò richiede sempre una scelta, nella misura in cui ogni orizzonte è complesso, composito ed è co-partecipato contemporaneamente da più suborizzonti o strati con orientamenti e traiettorie noologiche spesso differenti. Quindi, fin dall’inizio, dobbiamo fare una scelta e riconoscere come principale nucleo esistenziale un Dasein che sarà il “soggetto” di questo storico. Nel caso dell’orizzonte cinese, gli Han dovrebbero essere considerati questo asse come il popolo che incarna il Logos cinese che ha costruito questa civiltà, questo impero e il suo speciale mondo cinese.
Il popolo Han emerse come auto-designazione solo con la dinastia Han dal 206 al 220 a.C., che sostituì la dinastia Qin di breve durata, quando fu realizzata l’unificazione dei territori cinesi. Il nome “Han” (cinese:漢) significa letteralmente “Via Lattea”, che indica la connessione simbolica tra l’identità Han, il cielo e il movimento ciclico [26]. In epoca Qin e Han, diverse tribù che abitavano il territorio cinese e appartenevano prevalentemente al gruppo linguistico sino-tibetano iniziarono a riconoscere la loro unità – culturalmente, storicamente, religiosamente e così via. È anche evidente che una certa unità di tradizione era necessariamente caratteristica di forme ancora più antiche di associazioni tribali, come nello Zhou e in periodi più antichi, il cui ricordo era impresso nei miti e nelle leggende. In ogni caso, è il popolo Han che va preso, in senso lato, come il polo fondante della storia cinese. Possiamo definire le prime fasi della storia Han come proto-Han, dopo di che l’identità Han in seguito iniziò a diffondersi negli orizzonti vicini sia all’interno della Cina che oltre, includendo così nella composizione del suo Dasein altri gruppi etnici e culturali. Eppure, in tutte queste fasi, abbiamo a che fare con un insieme semantico che è predominante e dominante nello spazio della storia e della geografia cinese. I cinesi Han sono il soggetto della civiltà cinese e possono essere considerati i principali portatori del Logos risultante, di cui abbiamo il compito di discernere la natura noologica nel corso del nostro studio.
Va quindi chiarita la formula fenomenologica da cui ci faremo guidare: passare da “Noi Cinesi” a “Noi Han” riflette la nostra intenzione di essere solidali con il Dasein Han nella ricostruzione della storia cinese e di guardare attraverso i suoi occhi sulla storia, la mitologia, la politica e la religione della Cina.
Note:
[1] Alexander Dugin, Noomakhia: The Horizons and Civilizations of Eurasia – The Indo-European Legacy and the Traces of the Great Mother (Moscow: Academic Project, 2017)
[2] Alexander Dugin, Noomakhia: The Logos of Turan – The Indo-European Ideology of the Verticle (Moscow: Academic Project, 2017)
[3] Alexander Dugin, Noomakhia: Great India – Civilization of the Absolute (Moscow: Academic Project, 2017)
[4] Dugin, Noomakhia: The Horizons and Civilizations of Eurasia.
[5] Alexander Dugin, Noomakhia: Geosophy – Horizons and Civilizations (Moscow: Academic Project, 2017).
[6] Ibid. Vedi anche: Alexander Dugin, Noomakhia – Wars of the Mind: The Iranian Logos: The War of Light and the Culture of Awaiting (Moscow: Academic Project, 2016)
[7] Braudel F. Écrits sur l’histoire. Paris: Arthaud, 1990. See also: Alexander Dugin, Noomakhia: Geosophy.
[8] Granet М. Fêtes et chansons anciennes de la Chine. Paris: Albin Michel, 1982.
[9] Granet M. La Religion des Chinois. Paris: Albin Michel, 2010.
[10] Granet M. Danses et légendes de la Chine ancienne. Paris: Les Presses universitaires de France, 2010.
[11] Granet M. Études sociologiques sur la Chine. Paris Les Presses universitaires de France, 1953.
[12] Granet M. Китайская цивилизация. Moscow: Algoritm, 2008.
[13] Granet M. Китайская мысль от Конфуция до Лао-цзы. Moscow: Algoritm, 2008.
[14] Matgioi. La Voie Rationnelle. Paris: Les Éditions Traditionnelles, 2003.
[15] Matgioi. La Voie Métaphysique. Paris: Les Éditions Traditionnelles, 1991
[16] Matgioi. L’Empire du Milieu. Paris: Schlercher frère, 1900.
[17] Matgioi. La Chine des Lettrés. Paris: Librairie Hermétique, 1910.
[18] Le Tao de Laotseu, traduit du chinois par Matgioi. Milano: Arché, 2004.
[19] L’esprit des races jaunes. Le Traité des Influences errantes de Quangdzu, traduit du chinois par Matgioi. Paris: Bibliothèque de la Haute Science, 1896.
[20] Evola J. Tao te Ching di Lao-tze . Roma: Edizioni Mediterranee, 1997. Altri testi di Evola sul taoismo sono raccolti nella piccola brochure: Julius Evola, Taoismo (Roma: Fondazione Julius Evola, 1988).
[21] Matgioi. Метафизический путь, p. 41 —42.
[22] Guénon R. La Grande Triade. Paris: Gallimard, 1957.
[23] Eliade М. Азиатская алхимия. М.: Янус-К, 1998.
[24] Dugin, Noomakhia: Geosophy – Horizons and Civilizations
[25] Dugin А.G. Мартин Хайдеггер. Последний Бог [Martin Heidegger: The Last God]. Мoscow: Academic Project, 2015.
[26] È anche possibile che il nome della dinastia Han derivi dal fiume Hanshui o fiume Han che attraversa la Cina centrale.
Traduzione di Alessandro Napoli
Fonte: eurasianist-archive.com
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