Spirito Legionario e tenuta interiore

Di Julius Evola
Tratto da “Orientamenti”, 1950
Come spirito, esiste qualcosa che può servir già da traccia alle forze della resistenza e del risollevamento: è lo spirito legionario. E’ l’abitudine di chi seppe scegliere la vita più dura, di chi seppe combattere anche sapendo che la battaglia era materialmente perduta, di chi seppe convalidare le parole dell’antica saga: «Fedeltà è più forte del fuoco» ed attraverso cui si affermò l’idea tradizionale, che è il senso dell’onore o dell’onta — non piccole misure tratte da piccole morali — ciò che crea una differenza sostanziale, esistenziale fra gli esseri, quasi come fra una razza e un’altra razza.
D’altra parte, vi è la realizzazione propria a coloro in cui ciò che era fine apparve ormai come mezzo, in essi il riconoscimento del carattere illusorio di miti molteplici lasciando intatto ciò che seppero conseguire per sé stessi, sulle frontiere fra vita e morte, al di là del mondo della contingenza.
Queste forme dello spirito possono essere le basi di una nuova unità. L’essenziale è di assumerle, di applicarle e di estenderle dal tempo di guerra al tempo di pace, di questa pace soprattutto, che è solo una battuta di arresto e un disordine malamente contenuto — a che si determini una discriminazione e un nuovo schieramento. Ciò deve avvenire in termini assai più essenziali di quel che non sia un «partito», il quale può essere solo uno strumento contingente in vista di date lotte politiche; in termini più essenziali perfino che non come un semplice «movimento», se per «movimento» s’intende solo un fenomeno di masse e di aggregazione, un fenomeno quantitativo più che qualitativo, basato più su fattori emotivi che non di severa, chiara aderenza ad un’idea. E’ piuttosto una rivoluzione silenziosa, procedente in profondità, che si deve propiziare, a che siano create prima all’interno e nel singolo le premesse di quell’ordine, che poi dovrà affermarsi anche all’esterno, soppiantando fulmineamente, nel momento giusto, le forme e le forze di un mondo di sovversione.
Lo «stile» che deve guadagnar risalto è quello di chi si tiene sulle posizioni in fedeltà a sé stesso e ad un’idea, in una raccolta intensità, in una repulsione per ogni compromesso, in un impegno totale che si deve manifestare non solo nella lotta politica, ma anche in ogni espressione dell’esistenza: nelle fabbriche, nei laboratori, nelle università, nelle strade, nella stessa vita personale degli affetti. Si deve giungere al punto, che il tipo, di cui parliamo, e che deve esser la sostanza cellulare del nostro schieramento, sia ben riconoscibile, inconfondibile, differenziato, e possa dirsi: «E’ uno che agisce come un uomo del movimento».
Questa, che fu già la consegna delle forze che sognarono, per l’Europa, un ordine nuovo, ma che nella sua realizzazione spesso fu impedita e deviata da fattori molteplici, oggi, va ripresa. E oggi, in fondo, le condizioni sono migliori, perché non esistono equivoci e basta guardare d’intorno, dalla piazza fino al Parlamento, perché le vocazioni siano messe alla prova e si abbia, netta, la misura di ciò che noi non dobbiamo essere. Di fronte ad un mondo di poltiglia il cui principio è: «Chi te lo fa fare», oppure: «Prima viene lo stomaco, la pelle (la malapartiana “pelle”!) e poi la morale» o ancora: «Questi non son tempi in cui ci si possa permettere il lusso di avere un carattere», o infine: «Ho famiglia», si sappia opporre un chiaro e fermo: «Noi, non possiamo fare altrimenti, questa è la nostra via, questo il nostro essere». Ciò che di positivo potrà esser raggiunto oggi o domani, non lo sarà attraverso le abilità di agitatori e di politicanti, bensì attraverso il naturale prestigio e il riconoscimento di uomini sia di ieri, sia, ed ancor più, della generazione nuova, che di tanto siano capaci e in ciò diano garanzia per la loro idea.
Fonte: rigenerazionevola.it
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