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La globalizzazione atlantista, fase suprema dell’imperialismo

Di Diego Fusaro

La mondializzazione come unificazione giuridica e mercantile del genere umano corrisponde alla terza fase dell’imperialismo come cifra coessenziale – già individuata dal Lenin dell’Imperialismo fase suprema del capitalismo (1916) – al modo capitalistico della produzione.

Nella fase astratta del capitalismo, così come l’abbiamo delineata in Minima mercatalia, troviamo in forma dominante l’imperialismo mercantilistico seicentesco e settecentesco. Esso è caratterizzato dal commercio triangolare degli schiavi tra Europa, Africa e America.

Il primo momento era dato dall’arrivo degli Europei in Africa, nella costa degli schiavi (oggi Senegal, Gambia, Guinea, Sierra Leone, Benin). Gli schiavi erano barattati con prodotti europei. La seconda tappa era dall’Africa all’America. Gli schiavi erano trasportati con le navi e venduti nelle Antille, in Brasile e nelle colonie inglesi del sud in cambio di danaro. La terza tappa era dall’America all’Europa: venduti gli schiavi, le navi rientravano in Europa con le stive cariche di prodotti tropicali. La durata media di questo infernale circuito era di diciotto mesi.

Giova rammentare che in questo commercio di esseri umani lo stesso Locke, nume tutelare del pensiero liberale, vantava solidi investimenti, da lui stesso giustificati in forma teorica mediante l’ammissione della “ragionevole schiavitù” dei neri. Annessa a questa triangolazione del commercio è la pratica del razzismo come legittimazione dell’espropriazione colonialistica.

Negazione dell’unità del genere umano, il razzismo non si fondava su un “pregiudizio”, ma su un “post-giudizio”. Veniva, infatti, impiegato come arma ideologica volta a legittimare l’espropriazione colonialistica mediante l’argomento – vero asylum ignorantiae – per cui gli esseri umani ritenuti inferiori non avevano il diritto di opporsi all’offesa subita. Contro il razzismo, valgano sempre le parole del Trattato politico (VII, 27) di Spinoza, natura una, et communis omnium est: “la natura è una e comune a tutti”.

Nella fase dialettica del capitalismo borghese e proletario, troviamo l’imperialismo stricto sensu, quello ottocentesco e novecentesco studiato da Lenin. Si tratta dell’imperialismo su cui viene strutturandosi il primo conflitto mondiale, sulla base della “nazionalizzazione delle masse” (Nationalisierung der Massen) e dell’ostilità tra gli Stati nazionali dettata dai loro appetiti acquisitivi e dalla volontà di estendere il proprio dominio economico-politico su territori sempre più vasti. Gli schiavi vengono ora direttamente sfruttati in loco, nelle loro terre d’origine, ridotte a colonie dell’Occidente espansionistico. Il nazionalismo imperialistico è la cornice ideologica entro la quale si sviluppa questo processo. 

Nella fase assoluta e flessibile, infine, si impone come nuova figura dell’imperialismo la mondializzazione americano-centrica, nel senso prima richiamato, ossia come logica di estensione su scala planetaria del mercato e della sua antropologia e, insieme, dell’ordine monopolare atlantista, con annessa destrutturazione di tutto ciò che non è conforme rispetto ad esso (in primo luogo il sistema degli Stati sovrani nazionali).

La globalizzazione corrisponde, per sua essenza, a una “saturazione” (Saturierung) del mondo integralmente sussunto sotto il capitale e, dunque, alla tendenziale polarizzazione dell’intero genere umano, secondo la dicotomia che vede contrapposta la massa precarizzata post-borghese e post-proletaria e la nuova élite neofeudale dei signori del globalismo desovranizzante e dei fondamentalisti del libero mercato e dei business plans.

Tale è l’essenza del nuovo imperialismo globalitario e postmoderno, mediante il quale il fanatismo economico del libero mercato occupa ogni spazio del pianeta e dell’immaginario, mediante i processi precedentemente evocati di inclusione neutralizzante e di aggressione atlantista.

Fonte: avig

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