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Assad negli Emirati Arabi Uniti

Bashar Al-Assad a colloquio con il vicepresidente degli EAU Mohammed bin Rashid Al Maktoum.

Di Abdel Bari Atwan

Gli alleati arabi “moderati” di Washington si stanno ribellando agli States.

Se dalla guerra in Ucraina è emerso qualcosa di buono per il mondo arabo, è la diminuzione dello status e dell’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. Washington sta perdendo molti dei suoi tradizionali alleati nella regione, specialmente nel Golfo, e questa tendenza sembra destinata ad accelerare.

Quattro recenti sviluppi lo dimostrano.

In primo luogo, la visita del presidente siriano Bashar Al-Assad negli Emirati Arabi Uniti venerdì. Il caloroso benvenuto riservatogli dai loro leader è stato uno schiaffo in faccia all’amministrazione statunitense, alle sue obiezioni fortemente espresse alla visita e alle sue sanzioni volte a delegittimare il regime siriano.

In secondo luogo, la crescente sfida all’egemonia statunitense da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, i due maggiori produttori di petrolio dell’OPEC. Il fatto più rilevante è stato il loro rifiuto alle richieste del presidente Biden di aumentare la produzione di petrolio al fine di abbassare i prezzi e fornire erogazioni extra per consentire il divieto delle importazioni russe di petrolio e gas.

In terzo luogo, il fallimento della visita del primo ministro britannico Boris Johnson, per conto di Washington, ad Abu Dhabi e Riyadh, dove ha trasmesso velate minacce ai due paesi se non dovessero seguire la linea occidentale sull’Ucraina, unirsi nell’imporre sanzioni economiche alla Russia, e rompere i loro accordi di produzione di petrolio con essa.

In quarto luogo, l’Arabia Saudita ha invitato il presidente della Cina per una visita ufficiale e ha preso in considerazione l’idea di valutare in yuan il prezzo delle sue vendite di petrolio al paese. Ciò segnala che il regno e forse altri stati del Golfo potrebbero essere disposti ad aderire al nuovo sistema finanziario globale che Russia e Cina stanno sviluppando in alternativa a quello occidentale.

L’accoglienza riservata ad Assad ad Abu Dhabi e Dubai è stata il segno più evidente di questa ribellione del Golfo contro gli Stati Uniti e il loro dominio. Inoltre, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti avrebbero rifiutato di ricevere il Segretario di Stato americano Anthony Blinken, che voleva fare una visita di follow-up a quella di Johnson per cercare di riuscire dove quest’ultimo ha fallito. Ancora più importante, il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Ahmad Bin-Zayed, ha visitato Mosca per colloqui con il suo omologo russo Sergeij Lavrov. L’amichevole spettacolo pubblico che è andato in scena ha strofinato il sale nella ferita americana.

I tempi del viaggio di Assad – nell’XI anniversario dell’inizio della guerra guidata dagli americani contro la Siria volta a rovesciare il suo regime, e tre settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina – e l’indifferenza degli Emirati Arabi Uniti per la reazione adirata degli Stati Uniti, sono ulteriori segni dell’avvio di una procedura di divorzio con un partner violento che maltratta e tradisce i suoi alleati.

La visita di Assad negli Emirati Arabi Uniti ha fornito importanti vantaggi a entrambi i paesi e ai loro leader. Ha rotto l’isolamento ufficiale della Siria nel mondo arabo e annuncia la rottura dell’embargo statunitense imposto al Paese. Ciò corona un più ampio processo di “normalizzazione” araba che vedrà Damasco riconquistare la sua appartenenza alla Lega Araba e il ruolo nel processo decisionale arabo collettivo, e prendere parte al vertice arabo che si terrà ad Algeri a novembre.

Questo passo audace avvantaggia anche gli Emirati Arabi Uniti in molti modi. Aiuta a compensare l’impatto estremamente negativo sulla sua immagine che è risultato dalla sua firma dei cosiddetti Accordi di Abramo e dal corteggiamento entusiasta del nemico Israeliano. Costruire ponti di fiducia e cooperazione con l’Asse della Resistenza attraverso la Siria, il più stretto alleato dell’Iran, potrebbe anche aiutare gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita a trovare vie d’uscita dal loro pantano nello Yemen. Potrebbe non essere un caso che Riyadh si proponga di ospitare un dialogo tra tutti i partiti yemeniti e abbia ufficialmente invitato il movimento Houthi Ansarullah a prendervi parte.

In breve, ciò che vediamo oggi sono manifestazioni di una rivolta contro l’egemonia statunitense nel mondo arabo da parte dell’asse della “moderazione” araba guidato dal trio egiziano-emiratino-saudita. È aperto all’adesione di altri stati del Golfo e arabi come Iraq, Algeria e Sudan se lo ritenessero opportuno. Questo nuovo asse potrebbe assumere una forma più chiara al summit di Algeri.

Il processo di normalizzazione araba con Israele è destinato a rallentare. È l’errore più grave che i paesi in via di normalizzazione – vecchi e nuovi – avrebbero potuto fare e dovrebbe essere fermato completamente. Ma sono ottimista a questo proposito, poiché rivoltarsi contro gli Stati Uniti implica anche rivoltarsi contro Israele.

Nel frattempo, l’aereo presidenziale di Assad, che negli ultimi dieci anni ha volato solo a Mosca e Teheran, sembra destinato a viaggiare molto di più nelle prossime settimane e mesi. La sua prossima destinazione dopo Abu Dhabi potrebbe essere Riyadh o Il Cairo, nonostante i migliori sforzi degli Stati Uniti per sbarrargli la strada.

Traduzione di Alessandro Napoli

Fonte: katehon.com

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