Site icon Nuova Resistenza – ITALIA

Jean Thiriart: un maestro per i difensori della Pátria Grande Iberoamericana

Di Raphael Machado

Ricordiamo oggi il centenario della nascita di Jean Thiriart, teorico nazional-rivoluzionario e continentalista europeo, grande critico della NATO e difensore di un’alleanza tra Europa e Terzo Mondo contro gli USA. Sconosciuto nel nostro Paese, ma avendo influenzato i difensori dell’idea di Pátria Grande, Thiriart deve ancora essere studiato con attenzione per le lezioni che ha da impartire a tutti i dissidenti iberoamericani.

«Gli antichi greci non comprendevano il necessario passaggio da Città-Stato a Territorio-Stato. La stragrande maggioranza degli europei non vede la necessaria progressione da stati territoriali a stati continentali. Lo stesso vale per l’America Latina». – Jean Thiriart

Il 22 marzo 2022 ricorre il 100° anniversario della nascita di Jean Thiriart. Il nome evoca ricordi solo tra selezionati europei che oggi potrebbero essere definiti dissidenti, oppositori del pensiero egemonico. Per gli iberoamericani, anche tra i dissidenti, Thiriart resta un grande sconosciuto.

Non è nostro scopo cercare di presentare la totalità della vita, dell’opera e del pensiero di Thiriart, è nostra intenzione indicare alcune idee e riflessioni interessanti che possono istruire i dissidenti iberoamericani che si posizionano come difensori dell’idea di una Pátria Grande.

Cenni biografici

Thiriart è nato il 22 marzo 1922 a Bruxelles, in Belgio, in una famiglia liberale di tendenze socialiste. Ha militato da adolescente in organizzazioni come la Giovane Guardia Socialista Unificata e l’Unione Socialista Antifascista, ma all’inizio della Seconda Guerra Mondiale si unì al Fichte Bund, un’organizzazione nazional-popolare (o völkisch) che seguiva una linea che potrebbe essere considerato nazional-bolscevica. Nello stesso periodo si iscrisse anche all’associazione Amis du Grand Reich allemand, organizzazione che riuniva tutti gli elementi dell’estrema sinistra socialista belga che difendeva il collaborazionismo con la Germania.

Non si tratta di una svolta nazionalista in senso borghese o di estrema destra, ma di un’evoluzione logica e diretta dal socialismo eterodosso al paneuropeismo “nazional-bolscevico” (o, più specificamente, comunitarista). Il collaborazionismo di Thiriart ha seguito una logica semplice: l’Europa deve essere unificata e deve essere unita lungo una linea antiliberale, anticapitalista, anti-atlantista, a prescindere da quale potere sia stato la forza trainante di questo processo. Per lui, anche in giovane età, era una questione di sopravvivenza.

Ritorna alla politica nel 1960, nel Comitato di Azione e Difesa dei Belgi d’Africa, che sarebbe diventato il Mouvement d’Action Civique. In questo periodo delicato, in cui il mondo vede i processi di decolonizzazione, Thiriart ha capito che, da un punto di vista geopolitico, l’Europa aveva bisogno di un collegamento a sud, di uno sbocco a sud – verso l’Africa – per proteggersi dalla tenaglia rappresentata dagli Stati continentali degli USA e dell’URSS. In una logica analoga si inserisce il sostegno dato da Giovane Europa (organizzazione paneuropea da lui fondata nel 1960) alla cosiddetta “Organisation armée secrète”, cospirazione militare francese che si oppose alla decolonizzazione dell’Algeria. L’idea era quella di utilizzare l’Algeria come un ponte, come un “polmone esterno” per innescare un processo rivoluzionario in tutta l’Europa.

Anche dopo lo smantellamento dell’“OAS”, la militanza di Thiriart continuò instancabilmente e la Giovane Europa si diffuse praticamente in tutti i paesi dell’Europa occidentale. Questo periodo degli anni Sessanta, periodo fertile di anticonformismo politico, vede numerosi periodici animati dal movimento, come “L’Europe Communautaire”, “Jeune Europe” e “La nation européenne”. Nello stesso periodo tentò di creare un’unione continentale e un’associazione universitaria continentale.

Dal punto di vista della politica estera, Thiriart passa dalla difesa dell’Eurafrica alla difesa di un’alleanza paritaria Europa-Terzo Mondo. La teoria corrisponde alla prassi. Già vicino a Ceausescu e tramite lui, Thiriart organizza nel 1966 un incontro con Zhou Enlai, ministro degli Affari esteri della Cina maoista. Nel 1967 cerca una connessione algerina. Nel 1968 incontra Nasser in Egitto e si reca in Iraq su invito dei baathisti. Thiriart e la sua organizzazione rafforzeranno anche i legami con la Resistenza palestinese (Roger Coudroy, il primo europeo a morire per la causa palestinese, era un attivista della Giovane Europa). Diversi personaggi di questi e di altri governi del Terzo Mondo e non allineati contribuiranno alle pubblicazioni di Jeune Europe.

Un commento a parte merita il legame tra Jean Thiriart e Juan Domingo Perón, a guida dell’Argentina dal 1946 al 1955. Durante il suo esilio a Madrid, Perón conobbe personalmente Thiriart e i due divennero amici. Il presidente argentino era un lettore abituale di “La nation européenne” ed è stato intervistato dallo stesso Thiriart per la rivista. Sarebbe impossibile indicare un’influenza a senso unico tra i due, perché l’immensa sincronia tra loro, soprattutto tra le idee che entrambi hanno espresso dalla fine degli anni ’60 in poi, indica una forte influenza reciproca tra tutti i livelli del loro pensiero.

La sincronia teorica tra Perón e Thiriart è particolarmente rilevante per noi, ma prima di arrivare finalmente alle lezioni che gli iberoamericani dovrebbero trarre da Thiriart, chiuderemo il ciclo biografico del pensatore.

Dopo la delusione per la mancanza di sostegno ai suoi progetti, Thiriart si allontanò nuovamente dalla politica per più di 12 anni, tornandovi solo all’inizio degli anni ’80 per ripubblicare le sue opere e sostenere il Partito della Comunità Nazionale-Europea. Per altri 10 anni, fino alla sua morte nel 1992, Thiriart ha diffuso la sua influenza su una nuova generazione dissidente, che includeva il filosofo russo Aleksandr Dugin, non più sostenendo la costruzione di un impero europeo tra gli Stati Uniti e la Russia, ma un’Europa da Dublino a Vladivostok.

Da Stato-Nazione a Stato-Continente

«Solo le nazioni continentali hanno un futuro». – Jean Thiriart

Una prima valutazione di Thiriart sulla condizione europea si basa sulla percezione che gli stati-nazione europei (Francia, Germania, Italia, ecc.), così come sono costituiti, siano troppo deboli per opporsi agli Stati continentali nel processo di consolidamento del potere. Pertanto, nessuno dei paesi europei deteneva la sovranità. In pratica, ciò portò le nazioni europee a orbitare attorno agli Stati continentali, con l’Europa occidentale diventata una semplice penisola della talassocrazia americana.

Se l’Europa ne è una penisola, l’America iberica ne è un cortile. Il termine “cortile” è già classicamente usato per riferirsi alla condizione di subalternità della miriade di paesi artificiali che popolano il nostro continente. La frammentazione iberoamericana, inoltre, non fu casuale, ma il risultato di una strategia talassocratica propria dell’impero britannico. Il Brasile, colonizzato dal Portogallo, seguì quasi la stessa sorte, ma riuscì a preservare la sua unità grazie all’autorità imperiale, che attraverso il proprio carisma e la forza delle armi garantiva la stabilità territoriale.

Non commettiamo errori: nonostante le sue dimensioni, nemmeno il Brasile riesce a liberarsi. Da una prospettiva realistica, il Brasile, nonostante le sue dimensioni, dovrebbe comunque prendersi cura dei suoi confini. Inoltre, è un paese senza armi nucleari. Per garantire un’autentica sovranità, è necessario che un processo di liberazione avvenga in concomitanza in tutta l’America iberica, come ha commentato Perón nella già citata intervista rilasciata a Thiriart.

Nella geopolitica dei “Grandi Spazi” non è ancora definito se l’America iberica, concretamente, costituirebbe uno o due imperi, ma se anche prendiamo la versione più piccola, quella di un impero iberoamericano meridionale, ci proietteremmo come uno Stato Continente con più di 400 milioni di abitanti, le più grandi riserve di acqua dolce del mondo e un ruolo fondamentale nella geopolitica alimentare, oltre a immense riserve di litio, uranio, oro, rame e l’importantissimo petrolio.

In questo, ovviamente, lo stesso Perón sarebbe pienamente d’accordo e tutti i suoi sforzi si sono mossi in quella direzione, come ha commentato ne “La hora de los pueblos”. Anche il geopolitologo Marcelo Gullo affronta l’argomento, in maniera attualissima, attraverso il concetto di soglia del potere, cioè di un livello di potere necessario perché una struttura politica possa considerarsi veramente sovrana. Da questo punto di vista, dal momento in cui gli americani sono arrivati nel Pacifico, solo gli Stati continentali possono essere considerati sovrani.

Il liberalismo è peggio del comunismo

«Dobbiamo fare a meno dell’approccio semplicistico e in bianco e nero che vede il comunismo e il nazionalsocialismo come poli opposti l’uno dell’altro. Erano molto più concorrenti che nemici». – Jean Thiriart

Jean Thiriart era vicino all’estrema destra nazionalista francese all’inizio degli anni ’60, all’epoca del Mouvement d’Action Civique e dei collegamenti con l’OAS. Questo breve contatto con questo settore fece sì che Thiriart rifiutasse l’anticomunismo, il razzismo, il capitalismo e le deviazioni liberali del settore nazionalista borghese.

In una visione che inverte assiologicamente la logica delle riflessioni di Popper, Thiriart (come altri grandi del suo tempo e come Drieu la Rochelle) si rese conto che fascismo e comunismo erano molto più vicini tra loro di quanto la maggior parte dei suoi stessi aderenti avesse capito e che il viscerale l’anticomunismo dei settori patriottici (così come il virulento antifascismo dei settori socialisti) li rese tutti più facilmente cooptabili e strumentalizzabili dalla talassocrazia liberale.

Se questa prospettiva era perspicace negli anni ’60, oggi è ancora più rilevante, più ovvia, ma continua a essere ignorata. Oggi personaggi come Diego Fusaro e Alain Soral hanno difeso una politica trasversale, nello stile di una “sinistra del lavoro, destra dei valori” e hanno criticato l’antifascismo e l’anticomunismo come strumenti del liberalismo egemonico. Il peronismo stesso è stato un esempio di un tipo di costruzione politica che ha riunito figure della seconda e della terza teoria politica per costruire una nuova metapolitica e una nuova prassi politica.

Con Mosca, Contro Washington

«[…] l’obiettivo deve essere quello di espellere a tutti i costi gli americani dall’Europa. La potenza tutelare, gli USA, ha creato in Europa abitudini di sicurezza, di agio e, cosa tira l’altra, di rinuncia all’iniziativa personale e, infine, sottomissione. L’atlantismo è l’oppio dell’Europa politica […]». – Jean Thiriart

Per come Thiriart comprendeva il gioco geopolitico del suo tempo, l’Europa occupata dagli USA fin dalla seconda guerra mondiale non era altro che un tumore apposto all’URSS. Frammentato in stati-nazione e sotto occupazione militare, non aveva un’esistenza propria, nessun destino.

Il corso della Guerra Fredda ha portato Thiriart, già negli anni ’80, a rendersi conto che tra USA e URSS, gli USA rappresentavano un male infinitamente più grande. Infatti, se negli anni ’60 aveva assunto una posizione tipica “Né Washington né Mosca”, dagli anni ’80 in poi assume invece la posizione “Con Mosca, contro Washington”, sostenendo la conquista dell’Europa occidentale da parte dell’Armata Rossa e l’unificazione di uno Stato continentale che abbraccia Europa e Russia in un’unica struttura.

Il crollo sovietico e la Guerra Fredda non hanno indebolito la valutazione di Thiriart, anzi, hanno reso ancora più evidente il carattere nefasto dell’azione atlantista statunitense e internazionale. Il crollo sovietico garantiva l’egemonia globale degli Stati Uniti. La bipolarità è stata sostituita dall’unipolarità.

Se negli ultimi momenti della Guerra Fredda, anche durante il bipolarismo, si è potuto scorgere la necessità di sostenere Mosca contro Washington, nelle condizioni di unipolarità non ci possono essere dubbi: Mosca non rappresenta solo se stessa, ma le aspirazioni dell’intero Terzo Mondo per il suo riscatto. Non si tratta, qui, di sottomettersi alla Russia, soprattutto per quanto riguarda l’America iberica, ma di un’alleanza fondata sul rispetto reciproco contro il nemico della causa popolare.

In questo conflitto non è possibile alcuna neutralità. La Russia, essendo l’avanguardia del multipolarismo, deve essere sostenuta in tutto ciò che indebolisce l’unipolarità, la NATO e gli Stati Uniti. Se la Russia fallisce nella fase attuale, non sarà solo la Russia a essere sconfitta, ma l’intera lotta dei popoli e il momento unipolare potrebbe stabilizzarsi in un ordine unipolare, in grado di durare decenni o addirittura secoli.

Di particolare interesse per noi iberoamericani è il fatto che Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, ha recentemente affermato che la questione dell’Amazzonia sia più importante della stessa crisi ucraina. La NATO, che ha anche partner nell’America iberica, sta preparando un assedio all’Amazzonia, il cuore del Sud America, e uno degli spazi più strategici del pianeta.

Mentre gli Stati Uniti si ritirano dagli innumerevoli “avamposti” nel Vecchio Mondo, la tendenza è quella di cercare di assicurarsi il proprio “retro”, rafforzando le tendenze verso il rinnovamento di una “Dottrina Monroe”, specificamente mirata a frammentare e indebolire ancora di più la Paesi iberoamericani.

Considerando che gli iberoamericani, in quanto comunità continentale, non hanno armi nucleari, solo un’alleanza tattica con Russia e Cina può prevenire una tragedia. Un’alleanza evidentemente non remissiva, basata su relazioni reciprocamente vantaggiose per tutti.

Dopo il crollo irreversibile dell’unipolarità e la “provincializzazione” degli USA, tornati allo stato di mero centro di un polo americano, potremo finalmente percorrere la nostra strada e anche intrattenere rapporti positivi e armoniosi con gli USA. Ma tutto questo è molto lontano.

Comunitarismo: superare il capitalismo e il marxismo

«Ad esempio, una centrale idroelettrica richiede […] la nazionalizzazione. Nella direzione opposta, la produzione e la distribuzione di prodotti agricoli e avicoli richiede una libera economia […]. Il marxismo dogmatico vuole nazionalizzare tutto, il liberalismo vuole privatizzare tutto, il comunitarismo vuole preservare il controllo politico assoluto pur consentendo quanta più libertà economica possibile». – Jean Thiriart

Infine, come nota fondamentale, dobbiamo ricordare l’insistenza di Thiriart sulla necessità di abbandonare sia il modello economico capitalista, fondato sullo sfruttamento egoistico e usurario, sia il modello economico comunista, fondato su un’utopismo che riduceva l’uomo a una formica.

In questo contesto, le fonti e le ispirazioni di Thiriart sono molteplici e permeano il corporativismo tipico dei terzi progetti di teoria politica degli anni ’30 e il pensiero di figure come Friedrich List o Johann Gottlieb Fichte. Basandosi su queste e altre fonti, Thiriart difende un modello economico autarchico, il cui scopo sarebbe quello di massimizzare il potere.

Mettendo insieme gli aspetti della pianificazione e della libera impresa, Thiriart immagina un’economia in cui lo Stato dirige tutti i settori strategici in modo pianificato e centralizzato, mentre la distribuzione di beni e la fornitura di servizi, così come altri settori non strategici, sono organizzati secondo a modelli di piccola scala di proprietà o da cooperative operanti nella logica dell’autogestione.

Interessanti i parallelismi con modelli vicini al mondo iberoamericano. Modelli diretti di economia mista sono presenti negli ideali del trabalhismo e del peronismo, senza contare il fatto che il comunitarismo di Thiriart (che coinvolge anche elementi di rappresentanza corporativa in politica) è più vicino alla “Comunità organizzata” di linea peronista.

Insomma, in questi 100 anni di Jean Thiriart, un augusto sconosciuto, da molti definito “il Lenin della Rivoluzione Europea”, una rivoluzione ancora in sospeso, bisogna ricordare il ruolo fondamentale del pensatore autenticamente paneuropeo nella costruzione di ciò che chiamiamo “dissidenza”.

Nonostante scrivesse principalmente per un pubblico europeo, non smetteva di pensare all’importanza del Terzo Mondo e che l’Europa poteva liberarsi solo con l’appoggio del Terzo Mondo e viceversa. Si tratta, quindi, di un autore che dovrebbe informare le riflessioni di tutti gli studiosi e attivisti che sognano la Pátria Grande Iberoamericana.

Traduzione di Alessandro Napoli

Fonte: novaresistencia.org

Exit mobile version