Dove andrà il Brasile?

L’elezione di Lula da Silva potrebbe riportare il Brasile al suo ruolo di protagonista sulla scena mondiale.
Da Katehon
Molti ricordano il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, che ha supportato la deforestazione in Amazzonia, il populismo di destra e i problemi durante la pandemia. Tuttavia, la questione della politica estera è spesso trascurata quando si valutano le tendenze di un paese. Di recente, per una serie di motivi, il Brasile, che è un gigante per superficie e popolazione, è diventato una specie di nano diplomatico. Mentre Bolsonaro flirtava con l’amministrazione Donald Trump e continuava ad avere il favore degli Stati Uniti dopo l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, una lunga tradizione di politica estera brasiliana di non intervento e uguaglianza tra gli stati è stata spezzata.
Nonostante le varie politiche estere perseguite dai governi brasiliani nel corso degli anni, nessun presidente ha mai violato così apertamente questi principi. Bolsonaro era in realtà apertamente sprezzante nei confronti del principale partner commerciale del Paese, la Cina. Il presidente del Brasile ha anche parlato apertamente della possibilità di un’invasione di un paese vicino, riferendosi al Venezuela. Questo atteggiamento ha quindi posto il Brasile in una posizione di isolamento diplomatico senza precedenti per un Paese che si è sempre contraddistinto per la sua mancanza di conflittualità con altri Paesi e per la sua capacità di mediazione diplomatica.
Può esserci un ritorno a una politica estera attiva e assertiva com’era prima di Bolsonaro? Le relazioni estere durante le prime amministrazioni Lula, dal 2003 al 2011, sono state condotte sotto la guida del ministro degli Esteri Celso Amorim. È stato lui a chiedere una politica estera “attiva e assertiva”. Per “assertivo”, Amorim intendeva una posizione più ferma per respingere le pressioni esterne e inserire gli interessi del Brasile nell’agenda internazionale. Per “attivo” intendeva la risoluta difesa degli interessi del Brasile. Questo punto di vista era “destinato non solo a difendere determinate posizioni, ma anche ad attrarre altri paesi verso le posizioni del Brasile”, ha affermato Amorim.
Questa politica ha significato un impegno per l’integrazione latinoamericana con il rafforzamento del MERCOSUR (noto anche come “Mercato comune del Sud”) e la creazione di istituzioni come UNASUR, l’Istituto sudamericano di sanità pubblica, il Consiglio di difesa sudamericano e la CELAC. Sono stati inoltre creati il forum IBSA (India, Brasile e Sud Africa) e il blocco BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Durante questo periodo, il Brasile ha anche sviluppato le sue relazioni con l’Unione Europea, l’Africa e il Medio Oriente. A causa delle dimensioni del Brasile e del peso diplomatico che ha acquisito aumentando la sua rappresentanza diplomatica in tutto il mondo, il Brasile è diventato un attore importante nei forum internazionali, cercando di spostare le discussioni verso il multilateralismo e una maggiore democratizzazione di questi forum, mediando efficacemente questioni delicate come l’accordo nucleare iraniano con le Nazioni Unite e le tensioni tra il Venezuela e le Nazioni Unite durante l’amministrazione Bush.
In tutta l’America Latina esiste una frase popolare originariamente pronunciata dal generale messicano Porfirio Diaz, rovesciato dalla rivoluzione messicana nel 1911: «Povero Messico! Così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti». Ora questa frase viene applicata al di fuori del suo tempo e luogo originale. I latinoamericani di oggi potrebbero facilmente sostituire il “povero Messico” con il proprio paese, sia esso la Colombia, il Guatemala, l’Argentina o persino il Brasile. Vengono in mente anche Cuba, che da oltre 60 anni è soggetta alle sanzioni statunitensi, nonché l’occupazione di Puerto Rico, e infine Haiti.
Ma chi si aspetta il ritorno di un Brasile attivo? Questo può interessare, per esempio, al Terzo Mondo, ma ci sono dubbi se il ritorno del Paese possa interessare al cosiddetto “Mondo Occidentale”. Probabilmente no. L’Occidente sarà interessato solo alle risorse naturali del Brasile ed è improbabile che lo veda alla pari a causa della sua (ancora) superiorità tecnologica. Il Brasile rimane su una posizione di non allineamento globale e relazioni pragmatiche nel campo del commercio e dell’economia, senza vincoli rigidi.
Oltre alla sfida esterna che ora esiste nel mondo, Lula torna alla presidenza in una situazione completamente diversa rispetto al suo primo mandato. Non solo dovrà fare i conti con tutti i cambiamenti istituzionali lasciati da Jair Bolsonaro, ma dovrà anche fare i conti con i membri della sua stessa coalizione “Fronte Ampio”, molti dei quali erano suoi oppositori radicali durante i precedenti governi. Uno degli argomenti più delicati è come opereranno le forze armate. Dopo il colpo di stato contro Dilma Rousseff nel 2016, i generali sono tornati sulla scena politica brasiliana, ampliando i loro possedimenti fino a conquistare migliaia di posizioni sotto Bolsonaro, uno scenario che mette in allerta il Paese, nel ricordo dell’ultima dittatura militare 37 anni fa.
La sinistra può insistere sul “disarmo” interno del potere militare accumulato nel paese per perseguire una politica estera coerente. Ma la destra potrebbe pensarla diversamente, e i tentativi di “disarmo” causeranno conflitti interni, che potrebbero trasformare il Brasile in uno “stato fragile” che non si preoccupa della politica estera. Molto probabilmente, Lula dovrà stringere una sorta di patto con i militari, in cui le loro richieste saranno rispettate, in modo da poter governare efficacemente il Paese. Ma data la sua precedente esperienza, c’è motivo di credere che la politica estera del governo di Lula sarà decisamente migliore per il Brasile, l’America Latina e il mondo rispetto a quella di Bolsonaro.
Traduzione di Alessandro Napoli
Fonte: katehon.com
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