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L’affascinante esperienza della Rivoluzione Conservatrice tedesca (1919-1932)

Di Jesús J. Sebastián

Sotto la formula “Konservative Revolution” coniata da Armin Mohler (Die Konservative Revolution in Deutschland 1918-1932) si comprende una serie di correnti di pensiero, le cui figure più importanti sono Oswald Spengler, Ernst Jünger, Carl Schmitt e Moeller van den Bruck, tra gli altri. Il nome di Rivoluzione Conservatrice, forse troppo eclettico e diffuso, ha goduto però di consensi e radicamenti, per coprire una serie di intellettuali tedeschi “idiosincratici” della prima metà del Novecento, senza unità organizzativa né omogeneità ideologica, né – tanto meno- comune appartenenza politica, che ha alimentato progetti di rinnovamento culturale e spirituale di valori autentici contro i principi demoliberisti della Repubblica di Weimar, all’interno delle dinamiche di un processo palingenetico che ha richiamato un nuovo rinascimento tedesco ed europeo (una ri-generazione).

Pur sapendo che i lettori del Manifiesto hanno già una certa conoscenza della cosiddetta “rivoluzione conservatrice”, sembra opportuno affrontare un tentativo di situarla ideologicamente, soprattutto attraverso alcune descrizioni di essa da parte dei suoi protagonisti, integrate da una sintesi dei loro principali atteggiamenti ideologici – o meglio, rifiuti – che sono, appunto, l’unico anello di congiunzione tra tutti loro. Perché il conservatore-rivoluzionario è definito principalmente da un atteggiamento nei confronti della vita e del mondo, uno stile, non da un programma o una dottrina.

Secondo Giorgio Locchi, tra il 1918 e il 1933 la Rivoluzione Conservatrice non ha mai presentato un aspetto unitario o monolitico e “finiva per delineare mille direzioni apparentemente divergenti”, anche contraddittorie, in altre occasioni antagoniste. Lì troveremo personaggi diversi come il primo Thomas Mann, Ernst Jünger e suo fratello Friedrich Georg, Oswald Spengler, Ernst von Salomon, Alfred Bäumler, Stefan Georg, Hugo von Hofmanssthal, Carl Schmitt, Martin Heidegger, Jacob von Üexküll, Günther, Werner Sombart, Hans Blüher, Gottfried Benn, Max Scheler e Ludwig Klages. Tutti sparsi in una rete di associazioni diverse, società di pensiero, circoli letterari, organizzazioni semi-clandestine, gruppi politici, nella maggior parte dei casi senza alcun collegamento. Queste differenze hanno portato uno dei grandi studiosi della Rivoluzione Conservatrice, Stefan Breuer, a ritenere che la Rivoluzione Conservatrice non sia realmente esistita e che tale concetto debba essere eliminato come strumento interpretativo. Ma, come afferma Louis Dupeux, la Rivoluzione Conservatrice era in realtà l’ideologia dominante in Germania durante il periodo di Weimar.

Le origini della Rivoluzione Conservatrice – secondo la tesi di Locchi – vanno collocate nella metà dell’Ottocento, pur collocando quelle che Mohler chiama le “idee”, o meglio, le “immagini-guida” (Leitbilder) comuni all’insieme degli animatori della Rivoluzione Conservatrice. Proprio uno degli effetti del crollo del vecchio e decadente atteggiamento è stato il discredito dei concetti a fronte della rivalutazione delle immagini. Estetica contro etica è l’espressione che meglio descrive questo nuovo atteggiamento.

In primo luogo, l’origine dell’immagine del mondo si trova nell’opera di Nietzsche: si tratta della concezione sferica della storia, contrapposta a quella lineare del cristianesimo, del liberalismo e del marxismo; è, in realtà, un “eterno ritorno”, poiché la storia non è una forma di progresso infinito e indefinito; in secondo luogo, l’idea dell’“interregno”: il vecchio ordine sta crollando e il nuovo ordine sta per diventare visibile, Nietzsche è ancora una volta il profeta di questo momento; in terzo luogo, la lotta al nichilismo positivo e rigenerativo, “ri-rivoluzione, ritorno, riproduzione di un momento che è già stato”; e in quarto ed ultimo luogo, il rinnovamento religioso di carattere anticristiano, attraverso un “cristianesimo germanico” liberato dalle sue forme originarie o la resurrezione di antiche divinità pagane indoeuropee.

Si scopre, allora, che Nietzsche costituisce non solo il punto di partenza, ma anche l’anello di congiunzione tra i protagonisti della Rivoluzione Conservatrice, il maestro di una generazione ribelle, che sarebbe filtrata da Spengler e Moeller van den Bruck, prima, e Jünger e Heidegger, più tardi, come ha magistralmente esposto Gottfried Benn. Nelle stesse parole di Nietzsche troviamo il primo monito del cambiamento: «Conosco il mio destino. Un giorno il mio nome sarà legato al ricordo di qualcosa di tremendo, a una crisi come nessun’altra sulla terra, al più profondo conflitto di coscienza, a una decisione pronunciata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, venerato».

Nietzsche è la punta di un iceberg che ha rifiutato il vecchio ordine per sostituirlo con un nuovo rinascimento. E i rappresentanti generazionali della Rivoluzione Conservatrice si resero conto di poter trovare nel filosofo tedesco un “antenato diretto” per adattare la rivoluzione della coscienza europea al suo Kulturpessimismus. Ferrán Gallego ha fatto il seguente riassunto dell’essenza della Rivoluzione Conservatrice:

«L’elogio delle élite […], la concezione strumentale delle masse, il rifiuto della “nazione dei cittadini” [intesa come atomi isolati] a favore della nazione integrale, la visione organica e comunitaria della società di fronte alle formulazioni meccanicistiche e competitive, la combinazione della leadership con l’ostilità all’individualismo, l’adattamento tra la negazione del materialismo e la ricerca di verifiche materiali nelle scienze naturali. Tutto ciò, presentato come un grande movimento di revisione dei valori della cultura ottocentesca, come identico rifiuto del liberalismo e del socialismo marxista, era ancora lontano dall’essere organizzato come movimento politico. L’impressione che si fosse concluso un ciclo storico, che si fosse esaurito lo slancio delle ideologie razionaliste, la contemplazione del presente come decadenza, la convinzione che le civiltà sono organismi viventi, non erano un’esclusiva del pessimismo tedesco, accentuato dal rigore della sconfitta nella Grande Guerra, ma che si trattava di una crisi internazionale che metteva in discussione le basi stesse della l’ordine ideologico contemporaneo e che molti hanno vissuto in termini di compito generazionale».

Louis Dupeux insiste, tuttavia, sul fatto che la Rivoluzione Conservatrice non costituisce, in nessun momento, “un’ideologia unificata, ma una Weltanschauung plurale, una costellazione sentimentale”. Che siano considerati “idealisti”, “spiritualisti” o “vitalisti”, tutti i rivoluzionario-conservatori considerano la lotta politica una priorità e il liberalismo è considerato il principale nemico, sebbene il combattimento politico si situi in un mondo spirituale di opposizione idealistica, non nell’obiettivo della conquista del potere agognata dai partiti di massa. Secondo Dupeux, la formula di questa “rivoluzione spiritualista” è promuovere la costituzione di una “comunità nazionale organica”, strutturata e gerarchica, consolidata dallo stesso sistema di valori e diretta da uno Stato forte.

Insomma, una “rivolta culturale” contro gli ideali illuministici e la civiltà moderna, contro il razionalismo, la democrazia liberale, il predominio del materiale sullo spirituale. La causa ultima del declino dell’Occidente non è la crisi sentimentale tra le due guerre (sebbene segni simbolicamente la necessità del cambiamento): la neutralità degli Stati liberali in materia spirituale deve lasciare il posto a un sistema in cui l’autorità temporale e spirituale siano uno e lo stesso, perché solo uno “Stato totale” possa superare l’era della dissoluzione che rappresenta la modernità. Quindi il compito di riformulare il discorso della decadenza e della necessaria rigenerazione sarà assunto dalla Rivoluzione Conservatrice.

Se dovessimo sottolineare certi atteggiamenti o tendenze di fondo come elementi costitutivi del pensiero rivoluzionario-conservatore, pur nella sua contraddittoria pluralità, potremmo evidenziare vari aspetti come i seguenti: la messa in discussione della supremazia della razionalità sulla spiritualità, il rifiuto dell’attività politica dei partiti demoliberisti, la preferenza per uno Stato popolare, autoritario e gerarchico non democratico, nonché l’allontanamento sia dal “vecchio tradizionalismo conservatore” che dai “nuovi liberalismi” capitalisti e marxisti, pur sottolineando l’esperienza della guerra e del combattimento come il risultato più alto. La riformulazione dell’ideologia si basa sulla necessità di costruire una “terza via” tra capitalismo e comunismo (o il socialismo prussiano di van den Bruck, il nazionalismo rivoluzionario di Jünger o il nazional-bolscevismo di Niekisch). E al di sopra di questi atteggiamenti era presente il sentimento comune della necessità di spazzare via il presente decadente e corrotto come transito per recuperare il contatto con una vita basata su valori eterni.

Lo stesso Mohler, che intendeva la Rivoluzione Conservatrice come “il movimento spirituale di rigenerazione che cercò di far svanire le rovine del XIX secolo e creare un nuovo ordine di vita” – proprio come Hans Freyer riteneva che avrebbe “spazzato via i resti del XIX secolo secolo” –, fornisce l’evidenza più convincente per una classificazione dei motivi centrali del pensiero della Konservative Revolution che, secondo la sua analisi, ruotano attorno alla considerazione della fine di un ciclo, della sua repentina metamorfosi, seguito da un rinascimento in cui si concluderà definitivamente l'”interregno” iniziato intorno alla generazione del 1914. Per fare ciò, Mohler salva da un autentico rifiuto dei principi demoliberisti della Repubblica di Weimar una serie di intellettuali e artisti tedeschi che alimentavano progetti comunitari di rinnovamento culturale.

Per Mohler, secondo Steuckers, il punto di contatto essenziale della Rivoluzione Conservatrice era una visione non lineare della storia, anche se non riprendeva semplicemente la tradizionale visione ciclica, ma piuttosto una concezione nietzschiana sferica della storia. Mohler, in questo senso, non ha mai creduto a dottrine politiche universaliste, ma a personalità forti e ai loro seguaci, capaci di aprire strade nuove e originali nell’esistenza.

La combinazione terminologica – Rivoluzione Conservatrice – era già stata concepita nel 1851 da Theobald Buddeus. Più tardi lo fanno Youri Samarine, Dostoevskij e nel 1900 Maurras. Ma nel 1921 Thomas Mann fu il primo ad usare l’espressione Konservative Revolution in senso più ideologico, nella sua Russische Anthologie, parlando di una “sintesi […] di illuminismo e fede, di libertà e obbligo, di spirito e corpo, dio e mondo, sensualità e attenzione critica del conservatorismo e della rivoluzione». Il processo di cui parlava Mann “non è altro che una rivoluzione conservatrice di una portata che la storia europea non ha conosciuto prima”.

L’espressione Rivoluzione Conservatrice ha avuto successo anche nelle tesi diffuse dall’Unione Culturale Europea (Europïsche Kulturband) diretta da Karl Anton, Principe di Rohan, aristocratico europeista e animatore culturale austriaco, la cui opera Il compito della nostra generazione, del 1926 – ispirata a Il tema del nostro tempo, di Ortega y Gasset – utilizza questa formula in diverse occasioni. Tuttavia, la formula della Rivoluzione Conservatrice acquistò piena popolarità nel 1927 con la più famosa conferenza bavarese di Hugo von Hofmannsthal, quando si avviò alla scoperta del vero compito erculeo della Rivoluzione Conservatrice: la necessità di girare la ruota della storia a quattrocento anni prima, tutto il tempo in cui il processo di restauro in atto “è in realtà iniziato come una reazione interna contro quella rivoluzione spirituale del XVI secolo” (si riferisce al Rinascimento). Hofmannsthal, insomma, invocava un movimento di reazione che permettesse all’uomo di sfuggire alla dissociazione moderna e di ritrovare il suo “legame con il tutto”.

Nelle parole di uno dei più eminenti rappresentanti della Rivoluzione Conservatrice, Edgar J. Jung: «Chiamiamo Rivoluzione Conservatrice la riattivazione di tutte quelle leggi e valori fondamentali senza i quali l’uomo perde il suo rapporto con la Natura e con Dio e diventa incapace di costruire un ordine autentico. Invece dell’uguaglianza, deve essere imposto il valore interiore; invece della convinzione sociale, un’equa integrazione nella società di classe; l’elezione meccanica è sostituita dalla crescita organica dei dirigenti; invece della coercizione burocratica c’è una responsabilità interiore che deriva da un’autentica autodeterminazione; il piacere delle masse è sostituito dal diritto della personalità del popolo».

Un altro dei luoghi comuni della Rivoluzione Conservatrice è l’autocoscienza di chi vi apparteneva di non essere meramente conservatore. Inoltre, si sono preoccupati di prendere le distanze dai gruppi inquadrati nel “vecchio conservatorismo” (Altkonservativen) e dalle idee dei “reazionari” che volevano solo “restaurare” il vecchio. La preoccupazione centrale era “combinare idee rivoluzionarie con idee conservatrici” o “promuoverle in modo rivoluzionario-conservatore” come proponeva Moeller van den Bruck.

Certo, la “rivoluzione conservatrice”, per quanto antipatica ai cosiddetti “neoconservatori” (siano essi del tipo Reagan, Bush, Thatcher, Aznar, Sarkozy o Merkel), non ha nulla a che fare con la “reazione conservatrice” (una vera e propria “controrivoluzione”) che intendono condurre contro il liberalismo progressista, il comunismo postmoderno e il controculturalismo di sinistra. La debolezza della destra classico-tradizionale sta nella sua inclinazione verso il centrismo e la socialdemocrazia (“la seduzione della sinistra”), nel tentativo frustrato di sbarrare la strada al socialismo, simpatizzando anche con gli unici valori possibili dei suoi avversari (egualitarismo, universalismo, falso progressismo).

Insomma, la destra neoconservatrice non ha colto il messaggio di Gramsci, non ha saputo vedere la minaccia del potere culturale sullo Stato e come agisce sui valori impliciti che forniscono un potere politico duraturo, ignorando una verità lapalissiana: non c’è cambiamento possibile nel potere e nella società, se la trasformazione che si cerca di imporre non è avvenuta prima nelle menti e negli spiriti. È un impegno per il “neoconservatorismo” consumistico, industriale e accomodante, l’esatto contrario di ciò che viene imposto oggi: ricreare una “rivoluzione conservatrice” con un brevetto europeo che, nelle parole di Jünger, fonde passato e futuro in un presente rovente.

Intanto il “neoconservatorismo” controrivoluzionario, basato sul pensiero di Leo Strauss, tedesco emigrato in Nord America, non è altro che una sorta di “reazione” alla perdita di valori che hanno una data di scadenza (proprio la sua, tipico della borghesia), mercantilista e imperialista anglo-americana). I suoi principi sono l’universalismo ideale e umanitario, il capitalismo selvaggio, il tradizionalismo accademico e il burocratismo totalitario. Per questi neocon, gli Stati Uniti appaiono come la rappresentazione più perfetta dei valori di libertà, democrazia e felicità fondati sul progresso materiale e sul ritorno alla morale giudeo-cristiana, con l’Europa obbligata a copiare questo modello trionfante.

Il “neoconservatorismo” anglo-americano, reazionario e controrivoluzionario è, in realtà, un neoliberismo democratico e tradizionalista – leggere Fukuyama –, erede dei principi della Rivoluzione Francese. La Rivoluzione Conservatrice, tuttavia, può essere definita, secondo Mohler, l’autentica “antirivoluzione francese”: la Rivoluzione Francese disgregò la società in individui, quella conservatrice ambiva a ripristinare l’unità del gruppo sociale; quella francese ha proclamato la sovranità della ragione, smontando il mondo per coglierlo in concetti, quella conservatrice ha cercato di intuirne il significato in immagini; i francesi credevano in un progresso indefinito in una marcia lineare; quella conservatrice è tornata all’idea del ciclo, dove le battute d’arresto e gli avanzamenti sono compensati in modo naturale.

Nell’antagonismo della Rivoluzione Conservatrice, né “conservazione” si riferisce al tentativo di difendere qualche forma di vita superata, né “rivoluzione” si riferisce allo scopo di accelerare il processo evolutivo per incorporare qualcosa di nuovo nel presente. Il primo è tipico del vecchio conservatorismo reazionario – anche del cosiddetto neoconservatorismo – che vive del passato; il secondo è il logo del falso progressismo, che vive del più assoluto presente-futuro.

Mentre in gran parte del cosiddetto mondo occidentale la reazione alla democratizzazione delle società si è sempre mossa nell’orbita di un conservatorismo sentimentale incline a esaltare il passato e realizzare la restaurazione del vecchio ordine, i conservatori rivoluzionari non risparmiarono sforzi per marcare le differenze e prendere le distanze da quello che per loro era semplicemente reazionario, anche se era, nell’espressione di Hans Freyer, una Rivoluzione di destra. La Rivoluzione Conservatrice fu semplicemente una ribellione spirituale, una rivoluzione senza alcun obiettivo o futuro regno messianico.

Traduzione di Alessandro Napoli

Fonte: elmanifiesto.com

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